Più Libri Più Liberi 2024 — C’è una domanda che, in questi tempi incerti, si impone con la forza di un pugno sul tavolo: perché, mentre nel mondo dell’editoria tutto sembra sfiorire, il fantasy esplode? Perché, mentre il mercato librario si sgretola sotto il peso della crisi – con una perdita dell’1,1% a valore e del 2,1% a copie nei primi dieci mesi del 2024 – i libri fantastici crescono del 27,1%, superano il milione di copie vendute e portano nelle casse degli editori ben 17,6 milioni di euro?
A prima vista, la risposta potrebbe sembrare semplice. Il fantasy è la soluzione a un problema. È un rifugio, una fuga dalla realtà. In un mondo che ci bombarda, che ci mette in crisi – economica, climatica, esistenziale – non sorprende che si scelga di evadere, di cercare conforto in universi dove il bene e il male si fronteggiano con regole chiare, dove gli eroi esistono ancora, si compiono magie, si viaggia attraverso mondi lontani; dove la gioia alla fine torna, illumina come una giornata di sole quando ormai non lo si sperava più. Eppure sarebbe un errore liquidare così la questione.
Un’epica moderna per un mondo disorientato
Il fantasy non è solo una fuga. È un ritorno. È un modo di affidarsi, ancora una volta, a quella necessità antica e primordiale di raccontare storie più grandi di noi, di dare un senso al caos e afferrare la vita per le spalle, riuscendo a domarla.
È una ribellione contro l’asetticità del presente, contro una modernità che sembra aver dimenticato la magia del mito, l’eccitazione che si prova a prendere per mano qualcuno e correre via, senza alcun vincolo, senza obblighi che tengono ancorati a terra, impedendoci di spiccare il volo.
Ed è anche una risposta: a un mondo che non sa più parlare in simboli, il fantasy offre metafore potenti. Draghi, cavalieri, guerre stellari – ogni elemento fantastico diventa una chiave per leggere ciò che siamo diventati, un modo per sottolineare quanto il tempo sia importante e meriti di essere vissuto, consumato con l’impeto febbrile di chi è consapevole di averne troppo, troppo poco.
Non è un caso che il romantasy, un sottogenere che mescola il racconto fantastico con il romance, stia conquistando cuori e classifiche. È il segno di un’ibridazione che rispecchia il nostro tempo, un’epoca in cui le categorie si sfaldano, in cui i confini tra generi e identità si fanno liquidi. Chi siamo? Chi vogliamo essere? Dove stiamo andando davvero?
La forza dei numeri e delle storie
I numeri lo dicono chiaramente. Nei primi dieci mesi del 2024, i titoli pubblicati nel genere fantasy e fantascientifico sono stati 1.016, in linea con gli anni precedenti. Ma ciò che colpisce è la qualità e la capacità di attrarre lettori.
Nella top 10 dei più venduti, i primi due posti sono occupati dalla saga di Rebecca Yarros: Iron Flame e Fourth Wing, editi da Sperling & Kupfer. Seguono Powerless. Potere e inganno di L. Roberts e Il problema dei tre corpi di Cixin Liu, un romanzo che non è solo fantascienza, ma un trattato sull’umanità e le sue paure.
E poi ci sono i classici, che resistono come roccaforti contro l’oblio: Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, Dune di Frank Herbert, Lo Hobbit di Tolkien. Storie che non smettono di parlare a generazioni diverse, che offrono speranza e inquietudine, stupore e avvertimenti.
Un monito per il futuro
Questa crescita non deve essere vista solo come un dato positivo. È anche un segnale. Il successo del fantasy ci dice che c’è sete di significato, un bisogno di speranza che il mondo reale non sa più offrire. I libri fantastici non sono solo sogni: sono uno specchio, un modo per esorcizzare le nostre paure e reinventare il futuro.
Ma attenzione: non possiamo limitarci a celebrarlo. Come diceva Silente: “Non serve rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere”. Dobbiamo chiederci cosa accadrà quando il sipario calerà, quando il lettore tornerà dal suo viaggio nei regni immaginari e si troverà di nuovo faccia a faccia con la realtà. Il fantasy è potente, ma non può sostituire ciò che manca: la giustizia, l’equità, una visione per il domani. La vita, quella vera; che fa bene, ma anche male.
E allora, forse, il vero messaggio di questi libri non è che dobbiamo fuggire, ma che dobbiamo imparare da quei mondi. Non per rifugiarci in essi, ma per costruire, qui e ora, un mondo che non abbia più bisogno di fughe.