Il deserto dei tartari: ora un romanzo a fumetti

A ottantaquattro anni dalla sua uscita, Il deserto dei tartari di Dino Buzzati diventa un graphic novel targato Sergio Bonelli Editore. L’ironia è che il “giornalista del fantastico” aveva intuito, già sul finire degli anni ’60, la sinergia fra immagine e parola: Un poema a fumetti (1969) è il primo tentativo tutto italiano di sdoganare il racconto per immagini e affrancarlo dal ghetto di genere – in un percorso analogo a quello di fantasy e science fiction. Oggi tutto ciò sembra scontato: per citare un altro esempio nostrano, l’opera di Zerocalcare non ha nulla da invidiare ai più popolari romanzi mainstream; inoltre ci sono stati moltissimi casi editoriali che hanno spazzato via ogni dubbio sulla serietà delle “nuvolette” da bambini (Watchmen, Il cavaliere oscuro, The Sandman fra i più celebri); per non parlare della versatilità di questo medium, come dimostrato da soluzioni ibride quali il giornalismo a fumetti della Revue Dessinée Italia.

Ma l’impresa letteraria di Michele Medda e Pasquale Frisenda è “semplicemente” la trasformazione di un classico della letteratura italiana in una storia illustrata. Se non fosse che lavorare con la strana bestia che è Il deserto non è affatto semplice: come si può tradurre in immagini un romanzo sull’attesa? come si fa a renderne l’angoscia? e la sua lentezza? Michele Masiero, già direttore editoriale della Sergio Bonelli, crede nel loro “sogno di un adattamento” perché anche lui è stato preso dalla “trappola irresistibile” che è stato (e continua a essere) il romanzo buzzatiano.

E di trappole irresistibili ne sa qualcosa anche Carlo Lucarelli, ospite d’eccezione “alla prima” del graphic novel al Salone Internazionale del Libro 2024. Infatti, da avvincente cantastorie della cronaca nera, Lucarelli identifica uno dei meccanismi fondamentali della “trappola” nel suo essere un romanzo dell’inquietudine: “Tutti aspettiamo quel qualcosa che deve accadere mentre accadono un sacco di altre cose intorno”. Per chi ha letto il romanzo, ciò significa veder scorrere la vita del protagonista, il tenente Drogo, e con lui attendere qualcosa che tarda a venire; passare dalla trepidante vitalità della giovinezza (quando tutto può accadere) e poi scivolare avanti, sempre più avanti, verso un futuro inesorabile ma che non arriva mai…

Stacco sulla realizzazione dell’adattamento. Come riconosciuto da tutti i relatori, far stare un romanzo del genere in un fumetto non è un’impresa da poco. Medda per esempio ammette che sarebbe risultato difficile trasporre la famosa sequenza del sogno (un punto chiave della narrazione, poiché ricuce il nucleo del romanzo al suo finale): nemmeno la versione cinematografica di Valerio Zurlini (1976) l’aveva inclusa. Eppure l’entusiasmo del suo partner in crime, Frisenda, lo ha convinto della necessità di non lasciarsi scappare il pathos della scena onirica. Il fumettista – e illustratore e pittore – ha creduto che scegliere immagini diverse e preservare la metafora buzzatiana sarebbe stato possibile: e così è stato. (Lo confermo senza fare spoiler. Medda aveva anticipato che non ci sarebbero stati gli “spiritelli” dell’originale, ma che la soluzione grafica di Frisenda sarebbe stata non meno efficace: non ho potuto frenare la curiosità, così ho dato una sbirciatina per assicurarmene…).

Del resto, la bellezza dell’ibridazione con il genere fantastico sta proprio in questo. Le immagini possono cambiare forma, diventare surreali, sparire totalmente: ma non per questo cambia la loro essenza. Prendiamo l’ineffabilità del tempo. Come hanno fatto gli autori a restituirla nel fumetto? Il romanzo di Buzzati, con le sue descrizioni di paesaggi, di situazioni, di atmosfere, è capace di sospendere il tempo; il dinamismo dell’ordito può rallentare per pagine e pagine secondo il capriccio di chi racconta – non è possibile sottrarsi alla “trappola meravigliosa”. Il film, d’altra parte, ha un ritmo incalzante, che trascina in avanti grazie alla forza propulsiva di immagini che sono là, davanti ai nostri occhi (presentate, non evocate: impossibili da sospendere).

E il fumetto? Il fumetto è un potente ibrido. Puoi contemplarlo, ricorda Lucarelli: l’immagine è statica, non viene da sé né fugge via; si può stare su una tavola, sorbirne i particolari, assorbirla e tornarci per riassorbirla. Tutto con il proprio tempo soggettivo. Ed è questo il segreto di una narrazione in grado di andare in profondità: “Ti racconta la tua storia, che è anche di tutti”. E lo fa con il suo tempo che, come accade ai grandi classici, diventa il tempo di tutti.

Per chi non si fosse mai imbattuto ne Il deserto dei tartari, approcciarsi al rispettoso omaggio di Medda e Frisenda può essere un’ottima via d’accesso alla lettura. Io ho ritrovato nelle loro tavole (soprattutto nei momenti più “caldi” della storia) le stesse emozioni del romanzo: la stessa malinconica attesa, la stessa tragicità di Drogo; la stessa malia della Fortezza Bastiani e dell’enigmatico deserto a cui è avvinta. Certo, anche il fumetto può intrappolare nelle immagini: a differenza del romanzo che le evoca dentro di noi, c’è il rischio che le sue rappresentazioni visive ci invadano. Che è un po’ il rischio della contemporaneità e delle sue ubique icone virtuali – un “troppo pieno” capace di saturare il pozzo magico da cui possiamo attingere alle nostre immagini.

Detto questo, come ci insegna l’universalità raggiunta dal fumetto in poco più di un secolo (e in questa scalata non è da meno del romanzo), facciamo scattare la “trappola irresistibile” dell’adattamento grafico. L’ha detto bene Lucarelli, le tavole si lasciano contemplare: ci regalano un margine – l’equivalente degli spazi bianchi intorno alla pagina – tutto per noi. Ciò rende il romanzo a fumetti de Il deserto dei tartari un degno erede dell’originale; un’opera che Buzzati, da maestro della letteratura capace di elevarsi al di là di ogni genere, avrebbe sicuramente apprezzato. Medda e Frisenda si sono appropriati della visione dell’autore per restituirla in un distillato che lascia la sua poetica inalterata; anzi, hanno ricreato un “deserto” tutto loro dove possiamo perderci e (si spera) infine ritrovarci.

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