«Valuteremo i nostri errori» è la risposta che dà in coro la maggioranza che sorregge il governo Meloni alla domanda “perché i loro candidati hanno perso seggi elettorali nella campagna in Sardegna”. E mentre Forza Italia continua a difendere il teorema del «piano numerico» in terra sarda, il ministro Salvini, la cui Lega ha registrato una discesa ripida del consenso in questi risultati elettorali, sostiene con orgoglio la solidità con cui si muove l’esecutivo «verso la direzione giusta».
Una direzione che dovrà proseguire verso la giustizia dei manganelli o verso l’arroganza di attribuire false responsabilità nel momento in cui il popolo sceglie non il dettato meloniano.
È il caso in cui due nomi, Todde-Truzzu dissonano fortemente tra loro nella cassa risonante delle urne sarde, e di cui presto se ne avrà l’eco, sostiene il leader M5s Conte, proprio grazie a quel «vento di cambiamento» che spira dall’isola della neoeletta Alessandra Todde. Due candidati che sono apparsi in due vesti totalmente differenti non solo ai cittadini sardi, ma anche agli italiani che per la loro geografia non avrebbero apprezzato totalmente le condizioni in cui versava l’isola da tutti questi anni, ma che, a differenza di quanto dichiarato dall’insofferente Zaia, avrebbero potuto percepire la distanza tra la dialettica di un rappresentativo Truzzu e la pragmatica di una rappresentante Todde.
Non è stato quindi un errore quello del Presidente del Consiglio di manovrare personalmente le elezioni sarde dall’alto dei suoi impegni istituzionali per il Paese, associando per analogia partitica il proprio volto “gigantografato” a quello miniaturizzato di Truzzu. L’errore per questo fallimento, se così si può chiamare rispetto all’orrore del fallimento di Pisa, è stato invece non candidarsi direttamente essa Meloni stessa a queste regionali proprio in qualità di “Premier del Paese”, privandosi della possibilità di sovrapporre già da adesso l’esecutivo del Governo a quello del Governatorato, anticipando già i lavori per quella diversa autonomia che in termini tecnici è stata detta «differenziata».
Eppure a ciò non ci sarebbero stati impedimenti in termini d’etica politica per la Meloni una volta fatta l’arringa comiziale a Cagliari prima delle elezioni, dove noncurante della solennità della sua veste istituzionale ha dato sfoggio dei suoi comici cimeli un po’ caricaturali di quando era all’agone d’opposizione. Ma qualcosa deve essere andato storto per la presidente Meloni, che contaminata dalla stessa confusione di ruoli che in questi mesi sta provando il suo alleato Biden, nel cercare di distrarre i voti con la superbia oscurantista ne finisce distratta proprio dall’assolutismo con cui ha condotto tutta la campagna elettorale, anziché dedicarsi alla risoluzione di quella militare in Russia e Palestina.
Il quadro che fuori ne esce da questi risultati dunque non è decentrato rispetto alla scena economica e sanitaria nazionale, laddove le ultime stime fatte, anche da un’autorevole fonte come HuffPost Italia, affermano una equazione delle attuali finanze pubbliche al costo pubblico della scorsa pandemia, registrando tra le spese più cogenti ed essenziali un record nella frequentissima, quasi ordinaria consuetudine dei voli di Stato come se fossero taxi, con più di 165 “aerei blu” decollati a prudente discrezione dei ministri di questo esecutivo. Potremmo individuare tra queste pieghe del tessuto politico che si succedono sempre più storte, sempre più sproporzionate alle esigenze del Paese, nonché sempre meno consone alla classe politica che dovrebbe gubernare il timone di una stanca Italia dei retoricismi, una mania di protagonismo che affligge la maggioranza. Protagonismo che, all’insaputa di chi lo frequenta evidentemente, nel momento in cui sembra essere un valido strumento di imposizione e preminenza individuale, lentamente diviene centro di una progressiva frattura interna tra le forze di maggioranza, fino allo scadere in un individualismo politico, o meglio particolarismo partitico, che potrebbe destabilizzare fortemente quella posizione di roccaforte costruita per tutto questo tempo dal trio Berlusconi–Meloni– Salvini con un programma d’adesione prosaica.
Queste elezioni sono, e saranno quelle che verranno nei prossimi mesi, per la maggior parte degli italiani una piccola premessa, un piccolo monito di inadempienza etica e politica non solo istituzionale, ma fatto più grave, costituzionale, da parte di un Premier che sembra ancora indossare la casacca descamisada di una “abolitrice del reddito a priori” , di una premier che sente ancora il bisogno di scomporsi pubblicamente nello stato verbale dell’elocuzione parlamentare per guadagnarsi continuamente un terreno che le frana sotto i piedi.
Tira l’aria impressiva di una premier che prima di saturare a fondo i propri complessi ruoli di mediatrice e matrice della cosa pubblica, pensa a scalare la vetta di un premierato, calpestando gradualmente i diritti più elementari e più alti dello strato di sotto alla superficie sociale che rimane nascosta ora più che in passato. Se il caso della vittoria di Alessandra Todde ha fatto riflettere gli italiani su quale debba essere oggi il vero volto, il vero compito e il vero onore della politica italiana, questa miccia, nella sua componente cooperativa, nel suo spirito di iniziativa alternativa delle «matite ai manganelli», costituirà il deterrente del voto prudente in un pagliericcio quale la nostra democrazia che rimesta nel fango dei fallimenti proprio all’insorgere delle lotte civili.