È notizia recente che la Piaggio Aerospace, nota azienda impegnata nella realizzazione di tecnologie aerospaziali legate alla difesa, è rientrata in un accordo di acquisto e investimento portato avanti dal gruppo turco Baykar.
Sebbene Leonardo risulti collegata al progetto con la possibilità di concorrere all’implementazione dei nuovi investimenti; le relative implicazioni sono da considerare con una certa cautela, per non parlare di velata preoccupazione.
Il ritorno della Turchia
Occorre osservare, come premessa generale al nostro discorso, la presenza di un costante accrescimento del protagonismo turco sia nel teatro asiatico sia in quello del Mediterraneo allargato. Questo accade soprattutto grazie alla chiara elaborazione strategica operata da Ankara in materia di diplomazia culturale e soft power, poggiando i propri assi operativi su comunanze etniche, religiose e culturali ereditate dal complesso passato del paese.
Tuttavia la rinascita turca in chiave internazionale e geostrategica va notata anche in ambiti molto specifici, come quello della tecnologia militare; peraltro segnalando che dei marcati investimenti in questo settore offrono la prova di rinnovato sentimento di protagonismo internazionale. Parlando appunto di tecnologia della difesa, molti progressi sono stati raggiunti proprio in relazione ai droni; e in questo un ruolo chiave viene giocato da Baykar.
Sono stati, in particolare, gli ultimi modelli Bayraktar a conferire autorevolezza all’azienda turca; dando la possibilità al governo di Ankara di rinnovare le proprie flotte, e di rifornire alcuni alleati chiave, con aeromobili di ottima qualità prodotti con livelli di convenienza sia in termini di costo sia di operabilità tattica. Senza dilungarsi nei particolari tecnici ed operativi, è possibile affermare che la Turchia sia in grado di affrontare i prossimi scenari di guerra aerea, ma anche di guerra convenzionale in generale, avendo a disposizione una forza aeronautica munita del potenziale tattico-strategico offerto da un comparto droni nazionale di grande scala.
Le conseguenze per l’Italia
Il nostro Paese, al momento, non dispone di alcun progetto legato allo sviluppo di droni per attacco al suolo. Vi sono, di converso, progetti connessi a velivoli adatti a scopi di ricognizione e di sorveglianza; ma nel complesso niente che possa supportare concrete attività di proiezione di potenza.
Questo, nell’attuale quadro strategico internazionale, rappresenta un problema rilevante, in quanto un paese che ambisce a rivestire un ruolo di maggiore protagonismo non può non dotarsi degli strumenti di proiezione attiva necessari non tanto per mettere in pratica azioni sul campo, ma per essere in grado di effettuarle in potenza e dunque entrare a pieno titolo nelle varie partite relative ai principali teatri d’operazione.
Volendo offrire un esempio, è possibile affermare che una nutrita flotta di droni con capacità offensive, da impiegare in coordinamento con i velivoli da ricognizione, può consentire di pattugliare e difendere gli spazi marini da eventuali minacce esterne; le quali divengono sempre più frequenti alla luce della nuova rilevanza dei cavi sottomarini e della necessità di difendere i traffici commerciali sulle rotte mediterranee. È vero che simili mezzi sono acquistabili anche da produttori esteri, cosa che è stata fatta con alcuni modelli americani; ma possedere una propria produzione nazionale permette, al contrario, di adeguare le caratteristiche del velivolo alle proprie esigenze operative specifiche oltre a supportare in maniera autonoma sia ambizioni internazionali sia operazioni a scopo securitario e di proiezione.
Appare chiaro il fatto che tale argomento subirà ancora varie evoluzioni nel prossimo futuro. Quello che è certo è che l’esito delle scelte italiane in materia di droni influenzerà gli assetti strategici del nostro panorama militare, con dirette conseguenze anche sulle direttrici di politica estera.