Il caso Dambruoso: dimissioni di un Ministero ed estromissioni del Governo

Un “nuovo caso Boccia” è quel che è stato definito da Alberto Dambruoso, critico d’arte e professore di storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Frosinone, riguardo alla mostra sul Futurismo che si sarebbe dovuta inaugurare lo scorso 30 ottobre.

La mostra che sarà invece ora aperta dal 3 dicembre 2024 fino al 28 febbraio 2025, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma in occasione dell’ottantesimo anniversario di Marinetti (2 dicembre 1944), ha conservato di autentico finora soltanto il titolo Il Tempo del Futurismo. Tanti cambiamenti, tanti ripensamenti, tante censure e restrizioni dietro un solo progetto culturale di natura pubblica. Ma anche molti conflitti partitici e manipolazioni di colore politico sembrerebbero stati il retroscena di questa insolita mostra. Una mostra che a giudicare dagli interessamenti sopraggiunti in fase di preparazione avrebbe assunto man mano un’ombra di propaganda.

“Mi era stato detto di occuparmi della mostra sul Futurismo” – riferisce Dambruoso alla redazione di Striscia la Notizia – “ma dopo un anno e mezzo mi hanno comunicato che dovevo fare un passo indietro perché erano arrivate voci irriguardose al Ministero nei miei riguardi e che non avevo avuto alcun incarico formale”.

Di queste voci irriguardose si sarebbe fatto portavoce Emanuele Merlino, capo della segreteria tecnica dell’allora ministro Sangiuliano, che avrebbe convocato il critico d’arte per comunicargli le decisioni prese “dall’alto”. Da quella stessa altitudine erano stati decisi poco prima non solo i tagli di circa 300 opere da un repertorio museografico complessivo di 650, ma anche istituito un comitato scientifico che avrebbe selezionato di sua mano alcune opere direttamente dalla rinomata Galleria romana di Fabrizio Russo.

Il gallerista romano sembrerebbe, dal servizio condotto da Report di Sigfrido Ranucci, essere amico di uno dei membri del comitato, l’on. Federico Mollicone (FdI), che assieme al vignettista Osho e all’ex direttore del Maxxi Alessandro Giuli, (attuale Ministro della Cultura) costituirebbero il megafono della destra filogovernativa. Tralasciando dunque l’evidente esautoramento avvenuto a discapito dei due curatori individuati dall’ex Ministro Sangiuliano, ossia Gabriele Simongini e Dambruoso, è la presenza politica sulle scelte e sulla autorità scientifico-accademica incaricata del progetto dal ministero stesso che preoccupa.

Un progetto la cui co-curatela tra l’altro sarebbe stata confermata a Dambruoso da più documenti ufficiali ministeriali e pubblici che lo vedono citato testualmente come “co-curatore”, a dispetto di quanto è stato dichiarato recentemente dagli stessi organizzatori.

Lo stesso Simongini, che ha scritto sul Tempo la recensione nel 2023 alla monografia di Dambruoso su Boccioni e che ha dichiarato d’essere stato il primo incaricato da Sangiuliano per la mostra e poi di aver richiesto l’affiancamento di Dambruoso, sembra tornare sui suoi passi quando afferma d’essersi indignato per aver scoperto d’essere stato usato da Dambruoso con la sua recensione.

“Non è vero, come si dice nell’anticipazione di Report diffusa online, che mi fu dato l’incarico dopo un mio articolo pubblicato su Il Tempo e dedicato a un libro su Boccioni di Alberto Dambruoso. L’incarico mi fu dato perchè il Ministro, bontà sua, mi stimava come storico dell’arte immune da interessi di mercato, affidandomi in via esclusiva la curatela della mostra”. Così afferma Simongini.

Inizialmente però, prima della mostra sul futurismo alla GNAM, Sangiuliano aveva in mente anche un altro progetto museografico che avrebbe però già estromesso il critico d’arte Fabio Benzi e lo sarebbe stato proprio perché non conforme a una linea ideologico-politica del ministro.

A seguire poi, subito dopo il controverso incarico curatoriale di Dambruoso, e dopo la costituzione dei due comitati, ovvero dopo che Giuli sarebbe entrato a far parte della gestione del progetto insieme a Mollicone e al gallerista Russo, si sarebbe verificato il taglio drastico delle opere individuate proprio da Dambruoso, esperto del tema futuristico, in collaborazione con Simongini. Simongini avrebbe avvisato, come si evince dalla chat resa pubblica nel dossier di Report, il collega della linea rigida adottato da «questi» che «non scherzano».

Il 17 maggio, dice Dambruoso, gli verrebbe comunicata da Merlino la revoca dell’incarico di curare la mostra. Poco tempo dopo avviene il caso Boccia che porta alle dimissioni dello stesso Sangiuliano e al Ministero di Alessandro Giuli. Con la stessa velocità dei cambiamenti che hanno sconvolto la sezione cultura, saltano fuori ad ottobre le dimissioni del Capo di Gabinetto Spano, lo stesso che era stato chiamato da Giuli a coadiuvare la direzione del Maxxi contemporaneamente ai preparativi della mostra alla GNAM.

La questione sembra dunque assai complessa di dettagli quanto univoca di fatti. Due ministri della Cultura che si sono susseguiti a due scandali pubblici, legati poi da un terzo che li coinvolge contemporaneamente. Due battute d’arresto però queste che segnerebbero non unicamente lo screditamento dell’importanza della Cultura nel nostro Paese, che verrebbe così a subordinarla invece di coniugarla alla politica, quasi fosse una materia secondaria in Italia.

Piuttosto anche il fallimento di questo Governo che proprio attraverso la l’avversione alla stampa e all’opinione critica, rimescola gli interessi della cosa pubblica nel fango di una propaganda che intrappola la stessa maggioranza.

Quando uno stato arriva a togliere la voce ai rappresentanti di quelle pubbliche istituzioni da cui lo Stato stesso è sorretto, significa che i lavori di de-costituzione della Repubblica sono stati appaltati da chi ne è alla guida e sono ormai avanzati nel cantiere di una nominale Democrazia. A tal proposito non ci vorrebbe Cicerone per convincerci che “ogni dimissione è una estromissione della cosa pubblica”.

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Mauro Di Ruvo
2000, Bari, Critico d’arte, classicista e medievista. Redattore di Politica interna. Attualmente si occupa di Etruscologia e Diritto Romano a Perugia, dove conduce indagini sperimentali in Archeologia Classica. Si è occupato di Estetica cinematografica e filosofia del linguaggio audiovisivo a Firenze presso la storica rivista “Nuova Antologia” e collabora con la Fondazione Spadolini. È autore del romanzo Pasqualino Apparatagliole (2023, Delta Tre Edizioni), e curatore della recensione al libro Oltre il Neorealismo. Arte e vita di Roberto Rossellini in un dialogo con il figlio Renzo di Gabriella Izzi Benedetti, già presidente del Comitato per l’Unesco, per la collana fiorentina “Libro Verità”. Ha già curato per la “Delta Tre Edizioni” le prefazioni alla silloge Lo Zefiro dell’anima (2019) di Pasquale Tornatore e al romanzo Le memorie del dio azteco (2021) dello storico Saverio Caprioli. A novembre 2023, ha curato il Convegno “L’ombra del doppio: la dicotomia nella poiesis” nella città di Lavello.

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