Vada come vada, la campagna elettorale a Roma sembra già pressoché inutile, ancor prima di cominciare. Dal silenzio al clamore: se fino a qualche giorno fa tutto taceva e i cronisti chiedevano a gran voce notizie, d’improvviso qualche carta è stata scoperta. C’è il patto tra Pd e M5S al ballottaggio e ci sono anche i candidati. La Raggi non è una sorpresa, è stata la prima, già in tempi non sospetti, ad annunciare la sua ricandidatura; a sinistra sarà battaglia – si fa per dire – durante le primarie, esercizio di democrazia preconfezionata, ma Gualtieri è il nome caldo. Chi va al ballottaggio, sarà appoggiato dall’altro, e viceversa. Si prefigura così un copione praticamente già scritto: o gli uni o gli altri, comunque a braccetto.
Conte, leader di fatto dei 5 Stelle, che ora ha non poche grane con Rousseau, non poteva non dedicarsi alla causa romana. Infatti, ha blindato il Sindaco uscente, Virginia Raggi, e in parallelo sta costruendo un’alleanza col Pd a trazione Letta. Una genesi della Sinistra contemporanea è alle porte, mancano alcuni accordi sui territori, sulle liste nazionali e soprattutto sulla leadership dell’alleanza. Zingaretti, ex Segretario dem, nei mesi scorsi aveva commissionato un sondaggio privato, per valutare l’indice del proprio gradimento nei confronti dei romani. Il suo nome è rimasto sempre caldo, finché l’ex ministro dell’Economia non l’ha surclassato. C’è da dire che Zingaretti ha tanto da fare in Regione Lazio, dove la campagna vaccinale prosegue bene ma la trasparenza dei concorsi un po’ meno; perciò, il lavoro non gli manca.
Colui che ha lavorato molto affinché si sciogliesse il nodo Gualtieri è Claudio Mancini, tesoriere del Pd romano fino a qualche dì fa. Il motivo dell’abbandono? Il fatto che, in poche parole, egli sia troppo vecchio per il nuovo partito romano, guidato un giovane gruppo dirigente. Costui viene eletto per la prima volta in circoscrizione a Monteverde nel 1989, come si apprende dal giornale Domani. Poi i due seguono percorsi paralleli: a distanza di quattro anni, nell’arco temporale 2005/2009, l’uno va in Consiglio Regionale, l’altro vola alla volta di Bruxelles. Oggi Mancini è stato premiato per via del suo impegno, ed è deputato in carica dal 2018. Entrambi sono figli della leadership di Massimo D’Alema, a cui non hanno mai negato simpatia e stima.
Agli occhi dei lettori più attenti, tuttavia, non sarà sfuggito un dettaglio: l’alleanza al ballottaggio tra Pd e 5 Stelle può condizionare assai l’esito dello stesso, ma il Centrodestra è in partita. Il problema è come e con chi. Quesiti non da poco, che stanno aprendo un’autostrada agli avversari. Non solo i militanti più all’opera e meno informati dai vertici, ma anche i cittadini hanno il diritto di sapere il perché del ritardo sui nomi e le ragioni che hanno portato all’impossibilità di stringere un accordo. A naso, sembra che a Giorgia Meloni non interessi la Capitale: troppo astiosa per non intaccare la sua salita nei sondaggi. Pertanto, meno ha a che fare con Roma, meglio è. Così a destra ritardano, tergiversano, mentre dall’altra parte già si lavora.
Un punto, infine, da non sottovalutare: fuori dalle strategie, c’è una città da governare. L’esito del ballottaggio non è la fine della battaglia, bensì l’inizio della salita per chi amministrerà. Roma scotta, e pure tanto. Chiunque voglia farsi un giro per la città, dal centro alle periferie, non solo si renderà conto dei mille problemi, ma noterà inoltre che ovunque è cantiere. Quando si lavora alle opere pubbliche, significa che c’è campagna elettorale. Dunque la Raggi è impegnata nel far dimenticare, con qualche bonifica o intervento, 4 anni di complicato governo con 6 mesi di operosità. Pd e 5 Stelle, nei programmi, condividono un Green Plan per la città: l’ultimo sindaco dem di Roma fu Ignazio Marino, il medico in bicicletta, che pedonalizzò i Fori Imperiali e favorì il car sharing; Virginia Raggi punta tutto sui monopattini, a cui ha dedicato parcheggi ad hoc, e sulle piste ciclabili, anche a costo di negare il colpo d’occhio sul lungotevere, a favor di bitume.
E così, mentre i partiti si garantiscono gli appoggi, il voto dei romani viene manipolato. Se all’elettore democratico la Raggi non piace? O se la fa piacere o non vota. In ambo i casi, democrazia non è.