Il materiale usato per la fabbricazione dei mobili Ikea richiede ogni anno grosse quantità di legname, ricavate dal disboscamento di alcune tra le più grandi foreste europee. Dall’indagine condotta da Earthsight, dal titolo Ikea’s House of Horrors, emerge però che, per le linee Flisat e Sundvik, si parla di disboscamenti illegali.
Da dove viene il legname
Il marchio svedese di arredamento è conosciuto e apprezzato per i prezzi bassi delle merci messe a disposizione del cliente, eppure, buona parte del legname usato per la loro fabbricazione deriva da una pratica di disboscamento indiscriminata che va a danneggiare alcune foreste primarie europee (tra cui alcune russe protette).
Ciò che desta maggiori perplessità è che, secondo il Forest Stewardship Council (FSC), il materiale è stato certificato come “legale e sostenibile” sebbene, in realtá, fosse tutt’altro che a norma. Tuttavia, proprio a causa di problemi ambientali e legali, nel 2014 la FSC si era vista togliere tale certificato sui prodotti Ikea per diversi motivi: fra questi spiccava la «mancanza di un’adeguata valutazione dell’impatto ambientale prima della raccolta».
Riguardo alla sospensione, poi, si era espressa anche una portavoce di Ikea, affermando che era considerata temporanea, aggiungendo che «la maggior parte degli errori è già stata corretta e l’obiettivo è quello di correggere le rimanenti al fine di reintegrare il certificato FSC il prima possibile».
L’indagine di Earthsight
La multinazionale è finita nel mirino di Earthsight, associazione digitale per marchi sostenibili, la quale ha redatto un rapporto da cui emergono dati interessanti. Innanzitutto si fa luce sulle aziende Bukarov, controllate dal milionario Evgeny Bakurov, fornitore storico di Ikea.
Come evidenziato su TeleAmbiente, «Sui registri della ExportLes, gruppo controllato da Bakurov vi sarebbero infatti numerose violazioni alle leggi forestali e ambientali». La questione sarebbe confermata dai numerosi controlli sotto copertura e dai blitz condotti da Earthsight. Secondo quanto dichiarato nell’indagine stessa, gli affari illegali avrebbero aiutato le aziende Bukarov a disboscare circa 2,16 milioni di metri cubi di foreste in dieci anni.
Il pretesto per tale azione – dice l’inchiesta – è falso: i disboscamenti sarebbero stati condotti perché gli alberi erano malati, danneggiati o morenti. Il fenomeno, c’era da aspettarselo, ha avuto le sue conseguenze sull’ambiente: si parla di gravi danni alla biodiversità, della distruzione di chilometri di coste ma, soprattutto, della mancata opera di bonifica che sarebbe dovuta essere intrapresa nei luoghi disboscati.
La denuncia di Earthsight e la risposta di Ikea
A queste scoperte hanno fatto seguito le denunce di Earthsight, da cui Ikea ha provato a difendersi senza tuttavia prendere dei veri e propri provvedimenti. Ha, sì, ammesso, come specificato nell’indagine, di avere Bakurov tra i suoi fornitori ma, allo stesso tempo, ha anche sostenuto di poter dimostrare la legalità della provenienza dei materiali tramite i certificati rilasciati dall’FSC.
Nella primavera 2021, Ikea ha deciso comunque di eliminare Bakurov dall’elenco dei fornitori, sebbene non venga specificato come mai ci sia voluto così tanto tempo per arrivare a tale decisione, considerando che la multinazionale era a conoscenza della natura dei disboscamenti da ben sette anni.
Come sottolinea Sam Lawson, direttore di Earthsight, «Accogliamo con favore le azioni che Ikea e FSC hanno intrapreso dopo le nostre scoperte ma non basta. Si tratta di problemi che richiedono soluzioni sistemiche, che vanno oltre un acquirente, un fornitore o un paese. I governi in Europa e negli Stati Uniti devono agire con urgenza per arginare una volta per tutte il flusso illegale di legno».
Nonostante i provvedimenti presi, restano dubbi e perplessità sugli sviluppi di questa vicenda. Quello che è certo è che Ikea, trovandosi ormai nel mirino di Earthsight, dovrà fare molta attenzione alle prossime mosse. Con l’indagine, infatti, la questione è entrata ulteriormente nell’interesse pubblico e azioni avventate o superficiali potrebbero avere ripercussioni anche sull’immagine della multinazionale agli occhi di probabili clienti.