La chiesa applichi autonomia se il governo resta sordo
Durissima la presa di posizione della Conferenza Episcopale Italiana, intervenuta un istante dopo la fine della comunicazione in diretta nazionale alla stampa tenuta dal premier Giuseppe Conte la sera del 26 aprile, in cui si è parlato della cosiddetta “fase Due” delle norme per il contenimento del covid-19, noto come “coronavirus” che ha colpito la salute, l’economia e le famiglie italiane dall’inizio di questo 2020.
Per quanto attiene al mondo cattolico e religioso in generale, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha annunciato meno restrizioni per la celebrazione dei riti esequiali e le cerimonie funebri, tenendo bloccata la situazione per le altre celebrazioni.
Per la Chiesa Cattolica, in uno Stato laico ma profondamente legato alla tradizione giudaico-cristiana che vede da sempre dialogante i Governi civili con la Santa Sede e la CEI, è stato difficile poter pensare e, conseguentemente, attuare una decisione così drastica come la sospensione del precetto festivo (l’obbligo per ogni battezzato di santificare la festa della S. Messa ogni domenica, secondo i comandamenti biblici e il diritto canonico), ma nonostante tutto, per l’interesse della salute pubblica, la Chiesa italiana aveva acconsentito già dai giorni dei primi decreti di marzo: dopo la sospensione del Mercoledì delle ceneri, dopo un piccolo ritorno alla celebrazione domenicale nella prima domenica di Quaresima, non si è più fatto nulla, niente incontri, niente preghiere o Messe, niente dottrina ai fanciulli, niente attività educative.
Almeno, le Chiese erano rimaste a porte aperte, ma in più di un caso i cittadini che vi si recavano venivano redarguiti dalle forze dell’ordine in varie zone del Paese, le Messe venivano celebrate dai soli sacerdoti a porte chiuse. Unica concessione: dalle Palme alla Pasqua, passando per il Triduo Santo, col prete celebrante potevano astare altri cinque operatori pastorali, fra ministranti, lettori, cantori e operatori telematici, questo ultimi per le trasmissioni in diretta streaming, proliferate in televisione, sui social e sul web, per ristorare il desiderio che i fedeli hanno di incontrare il Dio cristiano presente nel sacrificio eucaristico.
La Conferenza Episcopale Italiana, da non confondersi con il Vaticano (nota per i distratti!), ha accettato con sofferenza e senso di responsabilità alle limitazioni governative assunte per far fronte all’emergenza sanitaria. Un’interlocuzione nel corso della quale, più volte, “sì e sottolineato in maniera esplicita che -nel momento in cui vengano ridotte le limitazioni assunte per far fronte alla pandemia- la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale.”
E mentre il ministro Luciana Lamorgese, titolare degli interni, lo scorso giovedì aveva affermato che erano al vaglio dell’Esecutivo nuove misure che concedessero il più ampio espletamento del diritto e della libertà di culto, ieri sera, con ben poco tatto istituzionale, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha affermato -in diretta nazionale- che per le Messe bisogna aspettare.
Questo atteggiamento del premier sembra aver incrinato pesantemente i rapporti con i Vescovi italiani, questi ultimi, infatti, si sono sentiti totalmente ed arbitrariamente esclusi dalle decisioni (come scrivono nella nota) dopo aver dialogato per settimane, presentando diversi protocolli e orientamenti pastorali.
Sono dure e giuste le parole della Conferenza Episcopale, laddove essa richiama il Governo ed il Comitato tecnico-scientifico al dovere di distinguere tra le loro responsabilità di amministrazione e di conoscenza scientifica e le responsabilità della Chiesa Cattolica, autonoma e sovrana nell’organizzazione della vita delle comunità cristiane.
Nel loro documento i vescovi richiamano ad una autonomia degli organi ecclesiastici.
Ed è proprio diritto ecclesiastico che dà forza e vigore a tale autonomia nei rapporti fra stato e confessioni religiose.
E l’auspicio del mondo cattolico è che tale “autonomia” venga applicata dalla Cei, laddove il Governo risulti rimanere sordo sordo ai diritti alla libertà di culto e al senso religioso, che non sono meno importanti di altri diritti fatti valere in queste ore.
A notte inoltrata, il premier italiano ha poi parato i dardi infuocati dei Pastori cattolici con una replica in cui promette nelle prossime ore e nei prossimi giorni un protocollo per la celebrazione delle messe e dei culti.
Seguiremo gli sviluppi e approfondiremo i tanti elementi che comprovano la centralità nel diritto costituzionale italiano del diritto alla libertà di culto da parte di ogni cittadino. Libertà che in questi mesi è -sí- stata esageratamente compressa per il diritto alla salute, ma che oggi si deve preservare da limitazioni ulteriori ed eventualmente esorbitanti rispetto al necessario.
Quindi “sì” alla tutela della salute del corpo, ma “sì” anche alla salute psicologica di chi trova conforto nel senso religioso, tutelato costituzionalmente.
Una Italia senza Dio, senza senso religioso è una Italia senza valori e tradizioni.
Una Italia senza valori e tradizioni tradisce la sua stessa Costituzione.