Hevrin Khalaf è vittima di una guerra malata

Nei giorni scorsi, tra le tante vittime civili incolpevoli di una guerra atroce, è stata uccisa Hevrin Khalaf, un’attivista curda assai nota per il suo impegno politico, mentre percorreva l’autostrada M4 su un veicolo diretto verso la città di Qamishli, nel nord-est siriano, al confine con la Turchia. Aveva 35 anni e un passato culturale di rilievo alle spalle; era Segretaria Generale del Partito Futuro Siriano e il suo obiettivo primario era il riconoscimento dell’identità del popolo curdo.

Più precisamente, Khalaf era nata nel Rojava, uno stato “di fatto”, ufficialmente non riconosciuto, situato nel nord della Siria e abitato da circa quattro milioni e mezzo di curdi. Le donne del Rojava, a differenza delle altre che vivono in Siria o in Turchia, sono riconosciute in società: si tratta, spesso, di persone istruite e non a caso molte figure femminili sono scelte come leaders della comunità. Nella capitale c’è un’università aperta a entrambi i generi, la Mesopotamian Social Sciences Accademy, nella quale gli studenti studiano un testo, ad esempio, scritto da Ocalan (leader del PKK e rivoluzionario curdo, ndr) intitolato “Liberating Life”, sulla parità di genere. Nel testo l’autore sostiene l’essenzialità dell’equilibrio fra i generi uomo e donna, necessario per la risoluzione di ogni altra controversia sociale e politica. Nel Rojava tutte le persone e tutte le minoranze sono rappresentate, mediante un sistema di democrazia diretta. E ciò non è ovvio, giacché nei territori vicini controllati dall’isis le donne vengono torturate con l’accusa di “eresia di costumi occidentali”.

Non è un mistero che in un piccolo angolo di civiltà, nell’inferno che circonda i territori al confine con la Turchia, si sia formata Hevrin Khalaf, la quale a seguito della laurea in ingegneria civile ha deciso di dedicarsi alla politica, col sogno di costruire una Siria multi-identitaria. Multu Civiroglu, analista politico curdo americano, l’ha definita così: “Una donna col talento per la diplomazia”, grazie alle sue abilità di conciliazione e di promozione della pace. Il 27 marzo del 2018 è stato un giorno cruciale per il suo attivismo: infatti, con la nascita del Partito Futuro Siriano, Khalaf ha ufficializzato la sua posizione filocurda e ha ribadito la centralità delle risoluzioni delle Nazioni Unite, specificamente la 2254, secondo cui tutte le fazioni del popolo siriano dovrebbero essere ugualmente rappresentate nel processo politico. Alla vigilia dell’offensiva turca, conseguentemente al via libera degli Stati Uniti, l’attivista aveva rilasciato una dichiarazione, riportata dal Rojava Information Center, molto critica verso la repressione della Turchia contro i curdi: “Noi respingiamo le minacce turche, soprattutto perché ostacolano i nostri sforzi per trovare una soluzione alla crisi siriana. Durante il periodo in cui l’Isis era al potere vicino al confine, la Turchia non lo vedeva come un pericolo per la sua gente. Ma ora c’è un’istituzione democratica nel nordest della Siria, e loro ci minacciano con l’occupazione”. Le sue parole non sono state gradite. Difatti, diventate effettive le minacce del presidente Erdogan, alcune personalità contrarie al regime del leader sono finte sulla lista nera, come potenziali avversari dell’offensiva in Siria. Khalaf era fra costoro. Ciononostante, ha voluto comunque partecipare a un vertice del suo partito a Qamishli, costasse quel che costasse, poiché la pace non si arresta neppure sotto il fischio delle bombe. Almeno idealmente. La paladina della libertà in un mondo malato è stata catturata in direzione della capitale, insieme al suo autista. E’ stata fatta scendere dall’auto, forse prima stuprata, lapidata e poi assassinata a bruciapelo. Qualcuno dei miliziani ha ripreso con una videocamera la scena, che è finita in rete. Tra le grida, si sente dire che “questo è il cadavere dei maiali”. È finita così, nella polvere, con tutta la sua storia e il suo valore. Una morte animalesca, indegna di una nobildonna. A Derik, villaggio al confine con la Turchia, si sono svolti i funerali. Per qualche ora il rumore delle bombe ha lasciato il posto al silenzio della caduta, leggera, ritmica, cadenzata, delle lacrime, dagli occhi a terra. È stata pianta una sorella, che si è presa cura dei suoi fratelli in assenza di una madre, in assenza di un vero Stato.

Il Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, si è schierato a favore di Hevrin Khalaf: “È il volto del dialogo e dell’emancipazione delle donne in Siria”. Parole giuste, che tuttavia non potranno mai restituire la concretezza dei suoi gesti. Un rinascimento femminista in Medio Oriente non potrà mai avere spazio, se la violenza dei fanatici o dei regimi basati sul patriarcato continuerà ad essere praticata e la donna sarà considerata un essere inferiore. In verità, coloro che bloccano l’azione delle donne, lo fanno perché le temono. Le immagini crude del volto martoriato di Khalaf devono essere un monito e una guida per la Comunità Internazionale, così come lo furono quelle del Vietnam o quelle dei Balcani, la piccola Kim Phuc nuda e bruciata col napalm o il bombardamento al mercato di Sarajevo. La vista di tali vergogne convinse i capi dei Paesi coinvolti ad agire, come se servissero i corpi ormai esanimi per accendere le luci della civiltà.

È un mondo perverso, che partorisce guerre malate, quello in cui chi lotta per la pace, viene trucidato come la più temibile bestia. Ad oggi, in Siria gli sfollati sono circa 300.000, di cui più di 70.000 minori (UNICEF). Innumerevoli le vittime, che una volta tali non importa se siano colpevoli o meno. Sono cadaveri, stesi a terra nel sangue, che non verranno sepolti né compianti da nessuno. È una guerra che si sta combattendo non contro un nemico ben preciso, ma contro se stessi. Una guerra inutile, se si tralascia l’ovvietà che non esista guerra “utile”, che miete bambini peccatori solo di essere nati lì e non altrove. Una guerra che non porterà giammai pace, perché non v’è guerra pacifica. La pace si ottiene tramite rinunce e accordi, non con i mitra. Una guerra che va condannata, con durezza.

Stavolta è intollerabile perfino la neutralità: chi non assumerà una posizione, sarà da considerarsi assassino, al pari di chi, anche in questo momento, sta togliendo anime dal mondo dei giusti.

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