A quattro settimane dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, la tensione continua a rimanere molto alta. La politica internazionale ha visto cambiare molte delle carte in tavola, ridisegnando e ricalcando nuove alleanze politiche ed economiche tra stati.
In questo scenario, USA e NATO sono due attori cruciali in grado di influenzare notevolmente l’andamento della guerra.
Per comprendere meglio come queste due entità si muovano all’interno del conflitto tra Russia e Ucraina abbiamo intervistato Mattia Diletti, docente di Scienza della politica all’Università “La Sapienza” di Roma. Autore de “I think tank. Le fabbriche delle idee in America e in Europa” e “Come cambia l’America. Politica e società ai tempi di Obama”, tra i suoi campi di ricerca vi sono il sistema politico americano e il rapporto tra esperti, intellettuali e politica. Ha inoltre collaborato su questi temi con riviste tra cui Limes, Il Mulino e Atlante Treccani.
Se e come è cambiato il ruolo di ONU e NATO nel panorama della politica internazionale?
“ONU e NATO sono tutte e due espressione della Guerra Fredda e quindi sono entrambe inevitabilmente invecchiate e fuori fuoco. Più l’ONU della NATO, nel senso che il Patto Atlantico ha più flessibilità e omogeneità al suo interno; quindi quando ci sono dei ‘defining moment’ come questi è più facile per il paese egemone della NATO come gli USA ridare un senso all’alleanza, disegnandola sull’emergenza.
La NATO è stata negli anni ’90 uno strumento degli USA per condizionare la politica europea e per mantenere il primato militare in una proiezione globale.
Poi si è cercato di piegarla all’agenda internazionalista-liberale di promozione e di difesa delle democrazie, con il caso della Guerra in Kosovo. Un’alleanza che da funzione difensiva assume una funzione di postura di gendarme internazionale. Un episodio che dimostra come la NATO sia a trazione americana.
Poi ovviamente c’è il passaggio dell’11 settembre, che ridimensiona il ruolo della NATO, dimostrando di fatto come gli americani ci abbiano coinvolto nei conflitti sia in Iraq che in Afghanistan, facendolo su una base di totale unilateralismo. Per questo motivo per molti l’11 settembre è sempre sembrato il segno della fine del senso dell’Alleanza Atlantica.
ONU e NATO però hanno avuto però un’altra funzione importantissima: quella di rispondere a una domanda di difesa dei paesi dell’Europa dell’est.
L’America di fondo mantiene la sua presenza in Europa perché è una potenza anche europea, ha svolto questa funzione di sostegno ai paesi dell’est e in qualche modo di contenimento e di sanzione verso il paese sconfitto, che era l’Unione Sovietica, ridisegnando poi i confini a loro favore e allargando la loro sfera d’influenza.
Soprattuto con Obama è cominciata la svolta pacifica e asiatica degli Stati Uniti. E in qualche modo ora la NATO è chiamata a partecipare a questa svolta”.
Sotto la presidenza di Barack Obama l’asse strategico della politica estera USA si è spostato sempre più dal Medio Oriente verso l’Asia. Con la guerra in Ucraina come crede si strutturerà da ora in avanti la politica estera degli Stati Uniti?
“L’immagine politica simbolo di questo conflitto è la telefonata tra Xi Jinping e Joe Biden: è evidente che la trattativa per la guerra si tiene a quei livelli.
Credo che in questo momento ci stiamo sì confrontando con la Russia, ma il confronto è indirettamente con la Cina. In una condizione molto diversa da quella della Guerra Fredda, in quanto quest’ultima non si era strutturata in un mondo in cui c’era questa interdipendenza – ma anche di competizione – globale tra economie.
I rapporti si rendono più complessi fra noi e cinesi, ma in una dinamica in cui questi rapporti esistono e sono molto forti. L’esito di questa guerra non sarà quella di farli morire, ma ridisegnerà fini e modalità di questi rapporti.
Con Obama eravamo in un’altra fase, dove ancora non si vedeva la militarizzazione del mondo in questa maniera. Mi sembra che sostanzialmente la chiamata sia molto forte, ma gli americani fanno i loro interessi. È l’Europa che deve scegliere cosa fare”.
A tre settimane dallo scoppio della Guerra ancora non si é raggiunta una tregua, mentre le trattative diplomatiche non sembrano portare buoni risultati. Quali prospettive si aspetta dal fronte diplomatico?
“Non lo so, e posso farmi delle domande anche io, da lettore.
Quello che vede è che secondo me l’andamento sul terreno determinerà il potenziale di accordo tra le parti. Quando non lo sappiamo ancora, dipende da diversi fattori, tra cui come andrà la guerra nei prossimi giorni.
Mi sembra che il terreno ci stia dicendo che l’operazione di negoziare con un’Ucraina completamente in ginocchio è fallita, e che però i russi si stiano prendendo tutto ciò che c’è ad est del fiume Dnepr.
Vedo che sembra tramontare l’ipotesi di un tentativo di tagliare completamente fuori l’Ucraina dal mare, prendendosi anche Odessa, ma d’Azov lo vogliono prendere. Tutto questo per dire che si suppone che i russi tratteranno quando avranno raggiunto gli obiettivi che possono vendere a casa e che potranno dargli dei vantaggi che loro ritengono strategici.
Non è casuale che forse sia fondamentale la presa di Mariupol’ perché li c’è la famosa brigata Azov, effettivamente composta in parte consistente da gruppi d estrema destra neonazisti, come raccontavano numerosi reportage americani ed europei negli anni passati, e che però può essere venduta come feticcio.
Io suppongo che a un certo punto si arriverà a una fase di trattative, non so fra quanto. Però mi pare chiaro che la postura che hanno preso i russi, e che hanno preso anche gli americani, è quella di dire che comunque vada la pietra miliare di questo conflitto sarà la ‘confrontation’, il confronto con Putin. Anche se finisse la guerra domani mattina, il confronto con Putin resterà agli stessi livelli. Poi bisognerà vedere cosa deciderà di fare l’Europa”.