Guerra in Medio Oriente: l’odio e la fiamma che brucia il Libano e il mondo

Si vedono molte guerre. Troppe. Tra gli uomini, tra i popoli. La Storia ne è invasa, come fosse essa stessa il campo di battaglia di un mirabile inferno. A ogni nuova vittima, a ogni nuovo cratere di sangue ci si chiede: “Come siamo arrivati qui? Perché non abbiamo imparato nulla?”. 

Lo chiediamo invano. Perché oggi, in un Medio Oriente che brucia come una foresta in preda alle fiamme, troviamo ancora una volta il volto dell’uomo più brutale, prigioniero del suo odio e della sua arroganza, del suo disfattismo, della sua indifferenza.

La voce di Khamenei

Ali Khamenei, la Guida Suprema dell’Iran, parla con la voce di chi crede di avere Dio dalla sua parte. Parla e chiede che Benjamin Netanyahu, il premier israeliano, venga giustiziato. Non basta più il giudizio di una corte, non bastano le accuse di crimini di guerra. Serve la morte, la punizione finale. Lo dice davanti ai suoi Basij, le milizie che rappresentano l’anima più fervente e indottrinata del regime. Lo dice con la sicurezza di chi vede l’annientamento di Israele come un destino inevitabile, un trionfo della “Resistenza”. E intanto il mondo ascolta, forse scandalizzato, forse indifferente, ma comunque paralizzato.

I bombardamenti e la piaga del Libano

Mentre le parole di Khamenei scivolano nel vento, a sud del Libano cadono le bombe. Bombe israeliane, pesanti e precise, che colpiscono Tiro, Bint Jbeil, Marjayoun. Non sono bombe senza obiettivo, sono bombe che vogliono cancellare i depositi di armi, le basi di Hezbollah, quelle stesse basi che si nascondono dietro scuole e abitazioni, dietro vite umane. In questa terra martoriata, dove la guerra è diventata una compagna di vita, non ci sono più innocenti né colpevoli. Ci sono solo vittime. Donne, bambini, uomini che non hanno scelto di essere un bersaglio.

Eppure, Hezbollah non cede. Colpisce con i razzi, usa il confine come una lama per ferire Israele. Non importa che questo significhi scavare ancora più in profondità la fossa in cui il Libano sta sprofondando. Un tempo questo Paese era un ponte tra l’Oriente e l’Occidente. Oggi è una tomba, coperta dalla polvere e dal sangue .

Il destino dell’uomo

Israele risponde con la forza, perché è così che Israele vive. Un piccolo Stato circondato da chi vuole cancellarlo dalla mappa. E forse non ha torto a difendersi. Forse ha ragione a dire: “Se non reagiamo, moriremo”. Ma come si può vivere soltanto di guerra? Come si può costruire un futuro quando ogni giorno è una battaglia per sopravvivere?

Nel cuore di questa tragedia, mi chiedo se abbiamo dimenticato che siamo tutti uomini. Ebrei, musulmani, cristiani, atei. Non siamo diversi l’uno dall’altro. Eppure, continuiamo a ucciderci. Forse perché è più facile odiare che comprendere. Forse perché abbiamo paura della pace, di quello che potrebbe chiederci in cambio.

Una domanda senza risposta

Queste righe non cambieranno nulla; i fatti capitombolano su se stessi, arrancano devastando tutto, sbranando il terreno della Storia universale. Khamenei continuerà a parlare di esecuzioni. Netanyahu continuerà a bombardare. Il Libano continuerà a morire. E noi, il mondo, continueremo a osservare. Ma non possiamo dire che non sapevamo. Non possiamo dire che non abbiamo visto l’orrore. Perché l’orrore è qui, davanti a noi. Sta a noi decidere se chiudere gli occhi o affrontarlo.

E mentre il Medio Oriente brucia, io mi chiedo ancora una volta: dove abbiamo sbagliato?

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