L’attacco degli Stati Uniti agli Houthi dello Yemen celava un avvertimento all’Iran. Come si sta muovendo il Presidente Trump e possibile risposta iraniana
La guerra in Medio oriente continua dopo che il tentativo di tregua è ormai chiaramente naufragato e la fase due che prevedeva un nuovo stadio della liberazione degli ostaggi non è mai iniziata. Non solo: c’è il rischio concreto che l’acutizzarsi delle ostilità possa riaccendere la mina iraniana, considerando il suo coinvolgimento diretto e indiretto nelle dinamiche della regione. L’Iran è infatti da tempo un alleato di gruppi armati quali Hezbollah in Libano e Hamas nella Striscia di Gaza, che sono stati coinvolti direttamente nel conflitto con Israele. Inoltre, l’Iran ha forti interessi geopolitici in Medio Oriente, tra cui il sostegno alla causa palestinese, come parte della sua politica di contrasto all’influenza israeliana ed occidentale nella Regione. Insieme alla Siria, al movimento libanese Hezbollah, ad Hamas ed alla Jihad Islamica, fa parte del cosiddetto Asse della Resistenza, che include attori statali e non con l’intento di opporsi all’influenza ed alle politiche occidentali – in particolare statunitensi oltre che di quelle degli alleati – e di quelle israeliane,per ciò che concerne il fronte mediorientale, condividendo una visione comune di contrasto all’ingerenza di questi ultimi, validando così attacchi diretti e manovre celate. In questo contesto, l’Iran, in particolare, si considera baluardo della resistenza contro l’imperialismo e il sionismo. Gli altri membri, pur con diverse motivazioni ideologiche e politiche, sono uniti dalla lotta per l’autodeterminazione dei popoli arabi e palestinesi, e contro la presenza israeliana nei territori occupati.
Ideologia a parte, nonostante questa la faccia da maggiore se non altro come scudo esterno per continue tensioni e guerre, ciò che ad oggi preoccupa è una possibile contromisura iraniana non solo per la minaccia nucleare ma anche a seguito dell’attacco degli Stati Uniti agli Houthi avvenuto circa una decina di giorni fa. Gli Stati Uniti hanno infatti sferrato un’offensiva massiccia contro gli Houthi dello Yemen, un gruppo ribelle designato dallo stesso Trump come un’organizzazione terroristica internazionale, sostenuti dall’Iran ed in particolare accusati di essere coinvolti in attacchi contro obiettivi sauditi e di aver compiuto altri atti di destabilizzazione nella Regione, già territorio delicato. Con una serie di bombardamenti a tappeto, in realtà gli Stati Uniti volevano colpire al cuore l’Iran, riuscendoci in effetti. Secondo un rapporto del 22 marzo infatti, gli Houthi hanno evacuato la loro sede a Baghdad e stanno valutando la chiusura delle altre due sedi in Iraq, mossa che evidentemente segue un avvertimento dell’Iran riguardo a possibili altri attacchi aerei statunitensi contro obiettivi Houthi, con il timore che tali azioni possano avere ripercussioni anche su Baghdad.
Cosa c’è dietro l’attacco di Trump è presto detto: successivamente all’inizio del conflitto israelo-palestinese iniziato il 7 ottobre scorso, gli Houthi, sostenuti dall’Iran, avevano aperto un fronte nel mar Rosso costringendo una parte del traffico marittimo a deviare circumnavigando l’Africa, in mancanza di un accesso al canale di Suez. La situazione si era poi stabilizzata, ma appena il cessate il fuoco è venuto meno ed Israele ha bloccato nuovamente gli aiuti umanitari nella Striscia, gli Houthi hanno riaperto le loro rappresaglie per le quali gli Stati Uniti si sono decisi ad intervenire, colpendo il porto di Al Hudayda e distrutto una centrale elettrica nella capitale Sanaa, con un bilancio, diffuso dai ribelli, di circa 50 morti. E se nel frattempolo staff di Trump si sta occupando del “gate” scaturito proprio dall’attacco agli Houthi dello Yemen da parte delle forze statunitensi in cui il giornalista Jeffrey Goldberg, direttore di The Atlantic, ha rivelato proprio l’altro ieri, 26 marzo, dettagli sensibili riguardanti i piani militari statunitensi in Yemen, dopo che pare sia stato accidentalmente incluso in una chat di gruppo su Signal con alti funzionari della sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump – tra cui il Segretario alla Difesa Pete Hegseth, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Mike Waltz, il Vice Presidente JD Vance e il Segretario di Stato Marco Rubio – mettendo in dubbio gli apparati di intelligence e sicurezza americani, le intimidazioni degli Houthi si stanno intensificando, mentre Trump inizia a fare gioco forza su Teheran, responsabile primario delle azioni dell’Asse della Resistenza. Se da un lato è dunque stato chiaro l’avvertimento all’Iran, dall’altra la facciata si gioca su tentativi di negoziato: dieci giorni fa Trump ha intercorso con Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran, per proporgli un negoziato sul nucleare. Se l’Iran è intenzionato a proseguire sulla strada del nucleare dunque, Trump da un lato pressa bombardando gli Houthi, dall’altra tenta una via diplomatica con Khamenei, poiché di fatto è chiaro che l’ingresso diretto dell’Iran nel conflitto comporterebbe rischi significativi, anche per la sua stessa sicurezza nazionale, poiché potrebbe provocare – anzi, certamente – una risposta militare diretta da parte di Israele e delle sue alleanze, in particolare proprio degli Stati Uniti. L’Iran potrebbe essere riluttante ad esporsi direttamente in un conflitto di larga scala, ma in realtà può – e sta così facendo – continuare a supportare gruppi come Hamas e la Jihad Islamica palestinese, ossia i facenti parte dell’Asse della Resistenza, con armi e formazione, senza un intervento diretto. Inoltre, le tensioni tra Iran e Israele sono già molto alte, con scontri indiretti e attacchi informatici, e l’escalation della violenza potrebbe aumentare il rischio di un conflitto più ampio. In sintesi, anche se l’Iran potrebbe non entrare direttamente nel conflitto, il suo supporto a gruppi palestinesi e la sua opposizione a Israele aumentano la possibilità di un coinvolgimento più ampio, specialmente se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.