Gregoretti e Open Arms. Salvini a processo solo a Palermo

Nessun processo per Matteo Salvini a Catania. La sentenza di non luogo a procedere, pronunciata dal Gup, Nunzio Sarpietro, mette il sigillo su una storia dibattuta più dai media che in aula. Tant’è, per l’appunto, che la vicenda si è fermata prima. Cade dunque l’accusa di sequestro di persona, che, tuttavia, resta in piedi a Palermo. Caso speculare, pareri diversi. Il 15 settembre il leader della Lega è convocato nell’aula bunker palermitana per la prima udienza.

Catania – caso Gregoretti. L’accusa riguardava i ritardi nello sbarco, avvenuto nel luglio 2019, di 116 migranti della nave della Guardia Costiera italiana nel porto di Augusta. Il 10 aprile scorso, Andrea Bonomo, pm catanese, si era espresso a favore di Salvini affermando che “l’azione dell’ex ministro fosse condivisa collegialmente dal governo” e che “sulla nave fossero garantiti assistenza medica, viveri e beni di prima necessità”. Quanto espresso dal pubblico ministero, il quale, nella prassi, promuove l’accusa e perciò non è solito esprimere parole confortanti verso l’indagato, si giustifica nel fatto che Salvini avesse deciso le sue mosse di comune accordo con l’ex premier, Conte, il ministro degli Esteri, Di Maio, e l’allora ministro  dei Trasporti, Toninelli. Si attendeva comunque la decisione del Giudice dell’udienza preliminare, che è arrivata nella giornata di ieri. “Il fatto non sussiste”. Una formula che fa tirare un sospiro di sollievo al leader del Carroccio, che da anni persegue una politica ben specifica nei confronti dell’immigrazione: si entra solo se in regola per entrare. Non è un caso che, tra i suoi cavalli di battaglia elettorali, il tema sia preponderante. 

Palermo – caso Open Arms. Il contesto palermitano, invece, fa storia a sé. A settembre, infatti, Salvini è atteso nel capoluogo siculo per il processo sul presunto sequestro di persona di 147 migranti nell’estate 2019, sulla base di quanto afferma l’accusa, che aggiunge anche il “rifiuto di atti d’ufficio”, reato che prevede la reclusione da sei mesi a due anni. In verità, se il diritto impone un andamento parallelo dei processi, che nella realtà non s’è verificato, una differenza tra le due imbarcazioni c’è. Difatti, la nave Gregoretti è un’imbarcazione italiana, appartenente alla Guardia costiera, mentre la Open Arms è una nave umanitaria di una ONG spagnola. Ciò, però, non sembra assumere rilevanza ai fini processuali. O almeno ciò traspare dalle parole di Salvini, che, appena uscito dall’aula palermitana, aveva invocato giustizia per il “processo politico”. 

Un fatto appare evidente agli occhi di tutti, ovvero le discrepanze interne alla magistratura italiana. Come riportava il giornale “La Verità”, che ha pubblicato i contenuti di alcune chat risalenti al 2018 nelle quali alcuni magistrati parlavano di Salvini, il procuratore capo di Viterbo Paolo Auriemma scriveva a Luca Palamara: “Mi dispiace di dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando” – già allora si discuteva della chiusura dei porti. Poi lo scambio di messaggi proseguiva: “Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell’Interno interviene perché questo non avvenga”, continuava Auriemma. “Salvini va attaccato” era il succo della vicenda, che Palamara voleva esprimere. E perché mai Salvini? Semplice: era (oggi è dato ancora primo nei sondaggi, ma è meno solido di allora) il politico più forte. Così come fu con Berlusconi e Renzi. Senza entrare nel merito dei processi, che il garantismo, non solo a parole ma soprattutto nei fatti, impone di rispettare e aspettare, bastano dei nomi per dedurre mediante logica che la politica teme la magistratura, e non il contrario. 

Dal canto suo, il leader leghista sa comunicare meglio di chiunque altro, oggigiorno, nel panorama politico nazionale. Pertanto, ha catalizzato su di sé l’attenzione del popolo e di alcuni media vicini alle sue posizioni, e ha personalizzato le vicende d’accusa per sequestro di persona. “Lo rifarei altre cento volte” è un attestato di fiducia verso i suoi votanti e, al contempo, un modo per dire che “comunque vada, processo o meno, l’ho fatto per voi”. Ineccepibile marketing politico. Ciò per rilevare che, al netto delle diverse vedute dei magistrati catanesi e palermitani, Salvini il suo piccolo ma importante lavoro politico l’ha fatto già e continua a portarlo avanti. Ossia, muovere la macchina elettorale. E finché la giustizia non lo inibirà dalla politica, come fu per Berlusconi con la legge Severino, solo per sua colpa potrà perdere consenso. In poche parole: un processo è un modo per raccogliere voti.

Passata l’estate, Salvini dovrà vedersela in tribunale a Palermo. Un contesto più ostile, nel quale il Sindaco Orlando, ad esempio, ha fatto costituire il Comune come parte civile al processo. L’avvocato Bongiorno, forse, proverà a portare in aula Conte, Di Maio, Toninelli e perfino Palamara come testimoni. Obiettivo difficile, quasi quanto una sentenza di condanna che, agli occhi di un uomo medio ma avveduto, risulterebbe faziosa. 

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