Viene da dire che ci risiamo: ormai siamo abituati alle decisioni in itinere e ai programmi fluidi. A tre giorni dalla riapertura delle scuole, il dibattito continua e si arricchisce di voci che reclamano di essere ascoltate, come quella dell’Associazione Nazionale Presidi; si moltiplicano le petizioni online di docenti che chiedono di tenere chiuse almeno le scuole superiori.
Il programma era di tornare al 50 per cento in presenza; si trattava di piani basati su una proiezione ottimistica e sulla speranza che il lockdown di Natale servisse a contenere il contagio. La risalita del tasso di positività, però, ha rimesso in discussione il tutto.
Stupisce che il ministro dell’istruzione Lucia Azzolina mantenga un basso profilo nei suoi interventi social e nei suoi commenti; anche dal ministero nessun segno di vita, a parte gli auguri di buon anno sui consueti canali social. Un indizio, forse, del fatto che ormai non è più questa la sede principale del dibattito, delle decisioni e dei programmi concreti per la scuola: vista la situazione, molte scelte verranno probabilmente fatte sulla base di quanto stabilito dal CTS e dalla cabina di regia.
Innumerevoli e contraddittorie, per ora, le voci e i rumours: Conte insiste per mantenere il 7 gennaio come data ufficiale della riapertura parziale, ma i sindacati (e non solo loro) chiedono di rinviare il tutto al 18 gennaio, data nella quale, pare, ci sarà un nuovo DPCM a regolamentare la nuova fase; una fase che tutti speriamo non sia quella della terza ondata.