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Giovanni Testori è stato tante cose. Uno scrittore, certo, un poeta, un critico, un pittore, ma anche e soprattutto un giornalista. I suoi “corsivi morali”, come li chiama Carlo Serafini nel suo intervento all’interno di Parola di scrittore Letteratura e giornalismo nel novecento, hanno lasciato un’impronta incancellabile nel giornalismo italiano.
Ciò in quanto la capacità eccezionale di Testori era aver saputo costruire un preciso punto di vista, basato sull’idea di maestosità e grandezza dell’uomo. Testori ha reso nei suoi scritti un grande servizio all’umanità, mostrando cosa e come si può essere uomini grandi e degni di essere chiamati tali. Ciò che distingue l’uomo da una belva è, lo sappiamo, la ragione. Nel prologo del suo De Catilinae coniuratione Sallustio lo spiega in un modo che pare legarsi bene al pensiero dietro la scrittura di Testori:
Omnis homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit
È bene che tutti gli uomini, che desiderano dominare sui restanti animali, si impegnino al massimo delle loro forze affinché non trascorrano la vita in silenzio come le bestie che la Natura ha forgiato prone e schiave del ventre.
Questa contrapposizione tra bestia e uomo, tra ragione e violenza, vive nelle parole di Testori quando, anche a proposito di condannati all’ergastolo, spiega che non bisogna gioirne poiché si tratta di un fallimento per tutti gli uomini. L’essere umano possiede la ragione che gli permette di capire, se non adopera tale dono nel modo corretto, il male che fa è solamente a se stesso. Perciò utilizza il termine dementenella sua accezione etimologica, giusto per legare ancora di più al latino il giornalista: prefisso “de” con valore privativo e “mens” che significa “mente”, una persona senza mente, senza ragione. Testori condanna quindi la violenza, ma anche la gioia della violenza. Lo fa ad esempio nell’articolo uscito per il Corriere della sera “L’ergastolo applaudito” il 3 Luglio 1978. Racconta il giornalista che, in seguito alla lettura della sentenza di ergastolo in tribunale, si sia sollevato un coro di applausi che lo ha lasciato stupito in senso profondamente negativo. Afferma come sia assolutamente giusto condannare un uomo se lo merita, poiché la legge va rispettata, ma asserisce altresì:”La legge è vincita, non rivincita”. Non si può gioire della condanna di un assassino, per quanto ignobile, poiché significherebbe non comprendere il danno che ha fatto all’essere uomini.
I condannati sono dementi, non nel senso di privi di coscienza, incapaci di comprendere ciò che stanno facendo, ma incapaci di comprendere ciò che stanno facendo a loro stessi. Testori userà l’espressione “non sanno quello che si fanno”, anziché “quello che fanno” – chiaro riferimento biblico – nel titolo di un suo articolo per Il Sabato e, osserva Serafini, in molte altre occasioni. Non dobbiamo gioire degli uomini condannati, ma rattristarci in quanto la ragione, quel grandissimo dono dato all’umanità, è stata calpestata. A servizio della scrittura il giornalista ha messo questa riflessione quasi religiosa, in cui il mistero e la dignità dell’uomo sono protagonisti di una ricerca di ragione e verità. Non astratta, tuttavia, bensì prepotentemente legata alla politica e all’opinione pubblica, tanto da farlo paragonare a Pier Paolo Pasolini come scrittore “corsaro”. Verace ironia, anche nei programmi televisivi risposte sempre eloquenti e incalzanti, un uomo in grado di fare della parola un’arma potente e mai sleale.
All’interesse per la natura dell’uomo e per la politica corrisponde tuttavia sempre un amore viscerale per l’arte. Lo stesso Testori fu pittore e il suo primissimo articolo per il Corriere della sera è proprio la recensione di una mostra su Bernardino Luini dal titolo Sacro e profano nella pittura lombarda del primo ’500 aperta nell’agosto precedente al Palazzo Verbania di Luino. Di astratto, “inutile” non nel senso wildiano del termine, l’arte per Testori ha ben poco. Conserva, invece, quella dignità misteriosa dell’uomo che anche nel sentimento religioso ritrova una grande manifestazione. Una religiosità simile a quella di altri intellettuali, non certezza della fede o dell’ateismo, ma fiducia nel mistero della vita. Così anche l’arte, che Testori sostiene facendo emergere anche pittori sconosciuti, mostra come l’uomo e le sue capacità siano al centro di tutto. E al centro del suo universo creativo Testori ha inserito soprattutto la grandiosità di un’arte che dominava alla perfezione: quella della parola.