Gibellina è capitale dell’arte contemporanea per il 2026

C’è grande entusiasmo per la notizia della nomina, da parte del Ministero della Cultura, di Gibellina quale prima capitale italiana dell’arte contemporanea per il 2026.

Le motivazioni che hanno portato a conferire l’importante riconoscimento a questa piccola località in provincia di Trapani, poco conosciuta dal grande pubblico, risiedono nel fatto che Gibellina e l’arte moderna sono una cosa sola. In altri termini Gibellina è una grande mostra all’aperto di arte moderna ed è uno dei pochi esempi di “città ideale”, cioè di città pensata, progettata e realizzata partendo dal nulla, da una porzione di territorio completamente vergine.

Vale quindi la pena di ricordare brevemente le origini di questo fenomeno.

La vecchia Gibellina, il cui nome di chiara derivazione araba significa “piccola montagna”, era un borgo di origini e di impronta medievali, nato nella valle del fiume Belice intorno al castello edificato da Manfredi Chiaromonte. Il disastroso terremoto che la notte fra il 14 e il 15 gennaio 1968 provocò la morte di circa trecento persone e la devastazione di un’ampia area della Sicilia occidentale ridusse Gibellina a un cumulo di macerie. Accertata l’estrema problematicità, se non l’impossibilità, di ricostruire il paese nella sua posizione originaria, si fece strada l’ipotesi della realizzazione di una “Gibellina Nuova” a ovest di quella “vecchia” e da questa distante circa 11 chilometri. E di questo progetto fu indiscusso protagonista un uomo politico balzato in più occasioni agli onori della cronaca per vicende legate al suo costante impegno civile: Ludovico Corrao, all’epoca sindaco di Gibellina, la cui militanza politica si svolse dapprima nella Democrazia Cristiana (negli anni ’50) e successivamente nel Partito Comunista Italiano.

Il suo impegno civile al di fuori della politica viene invece ricordato soprattutto per essere stato, quale avvocato difensore nel 1965, di Franca Viola, la giovane siciliana che per prima osò ribellarsi all’imposizione del matrimonio riparatore dopo essere stata rapita e violentata dall’ex fidanzato.

Ciò che più rileva e stupisce dell’opera di Corrao è che egli concepì la nascita della Nuova Gibellina non come mera ricostruzione delle abitazioni e delle strutture distrutte dal terremoto, ma come momento di riscatto di un popolo da secoli povero e vessato da potenti e da stranieri. Affiancò quindi, all’opera di ricostruzione degli edifici legata al difficile percorso dei finanziamenti statali, un ambizioso progetto di realizzazione di opere d’arte, in gran parte finanziate dagli stessi abitanti di Gibellina, affidato ad alcuni artigiani locali quali Carlo La Monica, Luigi e Girolamo Ippolito, Antonio Renda, Giuseppe Barbera, Egisto Artale, Alfonso Terranova, Damiano Arcilesi, Cristoforo e Vito Evola, Pippo Ferrara, Franco Cassarà Ignazio Giacone, Maria Capo, Franca Ippolito, Angela Casciola e contemporaneamente a un numero addirittura impressionante grandi artisti contemporanei quali Toti Scialoja, Domenico Paladino, Alberto Burri, Pietro Consagra, Arnaldo Pomodoro, Andrea Cascella, Nino Franchina, Giuseppe Uncini, Mauro Staccioli, Mario Schifano, Joseph Beuys, Iannis Xenakis, Yannis Kokkos, Medhat Shafik, Emilio Isgrò, Ettore Colla, Enzo Cucchi, Carla Accardi, Carlo Ciussi, Cosimo Berna, Giovanni Albanese, Mimmo Rotella, Alessandro Mendini, Ludovico Quaroni, Franco Purini, Laura Thermes e altri.

Prima di entrare nel centro abitato il visitatore proveniente dall’autostrada A29 è colpito dall’immenso arco a forma di stella che sovrasta l’asse viario, denominato Porta del Belice, realizzato dallo scultore Pietro Consagra e destinato a divenire il simbolo non solo della Nuova Gibellina ma della rinascita post-terremoto dell’intera Valle del Belice.

Camminando per il paese la sensazione d’insieme che si ritrae è quella di uno spazio dilatato e un po’ metafisico, che evoca alla mente alcuni quadri di Giorgio De Chirico, nonché – operate le debite proporzioni – le immagini di Brasilia, altra “città ideale” nata dal nulla per assolvere al ruolo di capitale di uno degli stati più grandi del mondo.

Saranno i visitatori, che ci auguriamo numerosi, a scoprire la sequenza di sculture denominata “Città di Tebe”, la Porta d’ingresso all’orto botanico, la scultura monumentale “Labirinto” di Nino Franchina, le sculture “Mediterraneo” di Cosimo Berna, “Ascoltare” di Giovanni Albanese, “Aratro di Didone” di Arnaldo Pomodoro, “Omaggio a Tommaso Campanella” di Mimmo Rotella, “Quanata, Le rotte del cielo” di Medhat Shafik, e tante altre che in questa la sede troppo lungo elencare diffusamente.

E la vecchia Gibellina? Anziché raderla al suolo perdendone la memoria nel giro di una o due generazioni, si è affidata a un artista contemporaneo, lo scultore Alberto Burri, la realizzazione di un imponente monumento della morte, costituito da una colata di cemento vasta 8.000 metri quadrati che ricopre le macerie della vecchia Gibellina lasciando intatte e percorribili a piedi le tracce dell’originario reticolo viario. Il Cretto di Burri è un’opera di grande impatto emotivo, il cui valore risiede principalmente nel congelamento della memoria storica del paese e che ci ricorda un altro grande monumento della morte e della memoria, il Memoriale dell’Olocausto realizzato dal’architetto Peter Eisenman a Berlino nei pressi della Porta di Brandeburgo.

Ben venga, in conclusione, la designazione di Gibellina quale capitale della cultura moderna, indipendentemente dal giudizio estetico che ognuno ne darà in base alla propria sensibilità. Ciò non toglie infatti che una tale realtà, unica più che singolare e per di più ubicata al centro di un’area a forte vocazione turistica vicina com’è alla frequentatissima spiaggia di San Vito Lo Capo e agli altrettanto frequentati siti archeologici di Segesta e Selinunte, meriteri di essere, se non apprezzata, quantomeno maggiormente conosciuta.

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