Gaza: ostacoli per la firma dell’accordo

Netanyahu accusa Hamas di fare marcia indietro. Riunione di Gabinetto rimandato probabilmente a lunedì.

467 giorni corrispondenti a quasi 15 mesi di guerra ed una tregua tanto anelata quanto contrastata con un accordo che, di fatto, non è ancora stato siglato. Si aspetta domenica per la firma definitiva che dovrebbe dare inizio alla fase 1 con la conseguente liberazione degli ostaggi. Ma una parte del governo di Netanyahu questo accordo, però, non lo vuole. Se già in fase di discussione il ministro delle finanze israeliano e leader dell’estrema destra Bezalel Smotrich insieme al ministro per la sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir avevano esposto le loro remore circa la conclusione di una intesa per il cessate in fuoco che, hanno dichiarato, sarebbe stato un vero “disastro per Israele”, oggi, 16 gennaio, sono scesi in piazza a Gerusalemme i sostenitori di Ben-Gvir il quale richiede a gran voce la vittoria, chiara e definitiva, di Israele e la sua piena affermazione nella Striscia. Il popolo è dunque diviso tra speranze e timori, tra chi appoggia fermamente la fine delle ostilità, specialmente i familiari delle vittime che attendono il rilascio degli ostaggi dando sola responsabilità a Netanyahu in caso contrario e chi invece appoggia Ben-Gvir e Smotrich, che vedono nella conclusione dell’accordo un intralcio al progetto di occupazione della Striscia.

Netanyahu è dunque chiaramente in un momento di difficoltà, tanto che la crisi di governo dell’ultimo minuto che sta ostacolando la firma dell’accordo ha fatto slittare, probabilmente a lunedì, così come dichiarato dal Ministero degli esteri israeliano, la prevista riunione di Gabinetto attesa per questa mattina. Il primo ministro israeliano è di fatto tra due fuochi: da un lato è pressato dalle inequivocabili dichiarazioni di Trump che ha richiesto di addivenire ad una conclusione prima della data del suo insediamento ufficiale alla Casa Bianca, previsto per il 20 gennaio – una stretta che ha di fatto innescato il processo di negoziazione a Doha – dall’altra la minaccia di Ben-Gvir che, evidentemente, forte dell’appoggio di parte della popolazione, poche ore fa ha dichiarato che se si fosse raggiunto l’ok definitivo in particolare per il rilascio degli ostaggi, lui ed i suoi sarebbero usciti dal governo, cosa che Netanyahu non può permettersi proprio adesso, in quanto significherebbe una conclamata crisi di governo. Non solo: fino a poche ore fa era circolata la notizia che Hamas stesse in qualche modo osteggiando l’intesa nel tentativo di ottenere ulteriori concessioni oltre che di aver rinnegato parti dell’accordo. Izzat al-Rashq, un alto funzionario di Hamas, ha invece negato la marcia indietro sui negoziati, dichiarando piuttosto che il gruppo militante “è impegnato nell’accordo di cessate il fuoco, che è stato annunciato dai mediatori”. Ciò che Hamas richiede, sembra, per giungere alla fase conclusiva, sia piuttosto la liberazione dei suoi detenuti in mano a Netanyahu e pretenderebbe di conoscere il numero dei prigionieri da scambiare con l’Idf, questo poiché Hamas ritiene che Israele abbia messo il veto su quali prigionieri, condannati per omicidio, verrebbero rilasciati in cambio degli ostaggi.

Una difficile situazione di empasse dunque, in cui, al momento e per quanto riguarda la prima fase dell’accordo – che dovrebbe essere messa in atto la prossima domenica a seguito della ratifica dell’intesa – Netanyahu, probabilmente per tentare una mediazione tra l’intenzione di arrivare ad una conclusione e il malcontento di Ben-Gvir e dei suoi, ha, poche ore fa, dichiarato che, almeno nella prima fase, non ritirerà le truppe dal corridoio Philadelphia. Di difficile risoluzione però l’out out posto dal leader oltranzista Smotrich che rilancia a Netanyahu la condizione – che pretende venga messa per iscritto – per la firma dell’accordo a patto che, alla conclusione della fase 1, si riprenda il conflitto contro Hamas. 

Intanto continuano i raid nella Striscia dove, proprio nelle ore precedenti alle dichiarazioni sul probabile cessate il fuoco, sono state intensificate le operazioni militari e, secondo il ministero della Salute a Gaza, sono state uccise almeno 73 persone, anche se, stando alle dichiarazioni di Zaher al-Wahedi, capo del dipartimento di registrazione del ministero all’Associated Press, il bilancio potrebbe aumentare man mano che gli ospedali aggiorneranno i loro registri. Dall’altra, sembra che nei campi profughi si stiano allestendo ospedali da campo per coadiuvare l’uscita degli ostaggi nel momento in cui gli stessi verranno rilasciati.

Niente è definitivo sino a che non è definitivo” ripete da giorni Gideon Saar, il Ministro degli esteri israeliano, per un accordo che manca ancora di molti dettagli con contrasti interni ed esterni del governo ancora da definire.

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