Gabriel García Márquez, 40 anni dopo il premio Nobel

«Le cose hanno una vita propria, si tratta solo di risvegliarne l’anima»

È Gabriel García rquez a scriverlo, nel romanzo Cent’anni di solitudine, descrivendo tra tormenti e gioie quell’epopea fatta di amori irraggiungibili e sogni mai realizzati che è la storia della famiglia Buendia, e del villaggio di Macondo, un piccolo agglomerato di case gialle e impregnate di sole che, da decenni, ammaliano la fantasia dei lettori di tutto il mondo. Lettori forti e lettori deboli, giovani e anziani, una parte dei quali, il 9 dicembre di quest’anno, affolla la sala Sirio del Centro Congressi — La Nuvola, in occasione dalla Fiera della piccola e media editoria, “Più libri più liberi”, che ha deciso di rendere omaggio al grande autore colombiano, festeggiando il quarantesimo anniversario dall’attribuzione del Premio Nobel. 

A curare l’evento, l’ambasciata di Colombia in Italia, in collaborazione con l’Ambasciata del Messico e IILA, l’Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana, istituita a Roma nel 1966, come strumento di stimolo e potenziamento delle relazioni tra Europa e America Latina. 

«Dopo quarant’anni, il realismo magico di Márquez vive ancora, e vivrà per sempre» — dichiara una delle esponenti dell’ambasciata Colombiana, scivolando tra spagnolo e italiano con orgoglio ed emozione—  «perché Gabo, come lo chiamiamo noi, non ha dato vita solo a romanzi e opere letterarie, ma anche ai sentimenti di un’intera nazione. È anche grazie alle sue righe, infatti, se abbiamo capito che la nostra storia, i racconti dei nostri nonni e dei nostri zii erano il vero realismo, la vita vissuta e impressa su pagina. Non bisognava andare lontano per trovarla. Si tratta di una realtà dura e spesso triste, è vero, eppure, attraverso la sua rappresentazione, anch’essa diventava magia, incanto magnetico e fascino arcano». 

Perché Gabriel García Márquez, per il popolo colombiano, non è solo uno scrittore — non lo è mai stato — ma “l’ambasciatore degli ambasciatori”, l’anima stessa dell’uomo che viene dipinta in tutte le sue sfaccettature, attraverso l’epica di uno stile denso, dalla punteggiatura spesso assente, e da ritmi spezzati e insieme favolistici. Uno stile largamente influenzato dal Bel Paese, e dai suoi artisti, diventati amici, confidenti e il cuore stesso di tutti quei ricordi che la poetessa uruguaiana Martha Canfield, presente alla discussione, descrive come “farfalle gialle dalle ali enormi”, capaci di attraversare i ricordi e i racconti dell’artista, con leggerezza pensosa e rivoluzionaria. Per Márquez, infatti, l’Italia era il paese del cuore, dell’estate con i suoi bambini, e il simbolo di quel sentirsi accolti che prescinde dall’abitare o meno un luogo. 

E forse è per questo che l’autore lo sceglie come paese d’elezione, l’otre dalla quale attingere per riempire i catini delle sue opere di nuove atmosfere e sensazioni.

A sottolinearlo è anche il figlio di Gabriel Gracía che, seppur lontano, ci tiene a lasciare un video-messaggio ai lettori italiani che hanno deciso di recarsi alla fiera, probabilmente anche per rendere omaggio a suo padre:

«Penso davvero che gli sarebbe piaciuto essere festeggiato così, anche dopo anni, nella cornice della Fiera del Libro di Roma. Amava pazzamente tutto ciò avesse a che fare con l’Italia, pur essendoci vissuto per soli sei mesi. Quando ci siamo trasferiti in Spagna, durante la mia infanzia, a pochi anni dalla pubblicazione di Cent’anni di solitudine, le nostre prime due estati le abbiamo passate viaggiando in macchina per tutta la penisola: Siamo stati a Torino, Genova, Roma e Sicilia, fino all’isola di Pantelleria, che sta più vicino all’Africa che all’Italia. Il “romanzo” del suo amore per questo luogo è ben conosciuto dai suoi tanti amici di una vita come Francesco Rosi, Tonino Guerra, Monica Vitti… aveva una passione anche per loro, per i neorealisti, come la aveva — cosa ben nota — per Leopardi e Dante, due dei giganti della sua immaginazione e della sua educazione letterarie. Questa celebrazione è dunque molto importante per noi, e ci tenevo ad essere presente (pur non essendolo), anche da qui, per mandarvi un enorme ringraziamento e un abbraccio da parte mia e di mio fratello».

Un abbraccio capace di annullare la distanza, connettendo Città del Messico e Roma in un unico afflato affascinante e insieme commovente; di distorcere lo spazio tempo e di riportare in vita non solo chi, per la grandezza della sua vita non può morire, ma anche i luoghi che ha abitato; come l’ufficio dalla quale viene registrato il video messaggio, lo stesso che nel 1982 vide la mattina dell’annunciazione al Nobel e la stesura di grandi capolavori come L’ Amore ai tempi del ColeraCronaca di una morte annunciata e Il generale nel suo labirinto

«Garcia Márquez era questo: i luoghi e le cose che attraversava, seppur semplici che fossero. Era i suoi libri, la gente che incontrava. Eppure definire Gabo non é semplice», chiosa Martha Canfield, con un sorriso enigmatico appeso alle labbra. «Non è semplice perché é stato un grande maestro, un rinnovatore che, senza paura, ha spaccato in due la tradizione per navigare tra “piacere” e “godimento”, due sostantivi che per Roland Barthes avevamo un significato radicalmente diverso. Quando parliamo di piacere, infatti, parliamo di qualcosa che ci soddisfa, ci calma, perché ciò che leggiamo proviene dalla cultura che conosciamo. Il godimento, invece, è qualcosa di più radicale: un sentimento che non calma ma mette in crisi, entusiasma e strania;  una forza che mette a soqquadro e, quindi, sconvolge i paradigmi del lettore». 

Eppure nella scrittura di Gabo il piacere si spezza sì, ma sopravvive, attraverso quella lingua frammentaria che non culla la cultura ma la aggredisce, la riduce a brani per analizzarla e comprenderla. Affrontare il rischio di sfidare la cultura, infatti, vuol dire assorbirla davvero, affrontare la vita e, al contempo, la morte che questa si trascina dietro come un’ombra, una sagoma dai contorni individuali e universali allo stesso tempo. 

Nascita e apocalisse, creazione e distruzioni, fianco a fianco in un ritmo circolare, per dare vita a una geografia utopica, capace di far coesistere la speranza e il desiderio al dolore, le costole spaccate con le iridi trasparenti di chi ancora crede che ci possa essere una destinazione da raggiungere. Trovare pace, non è mai semplice, eppure, il tentativo persiste; nei lettori che anche dopo anni continuano a leggere per trovare rifugio, e nell’anima di tutti quegli scrittori che, come Gabo, fanno letteratura per portare avanti una lotta tesa alla libertà, soprattutto interiore; una libertà tesa a farci comprendere la cifra dei nostri dubbi e il valore sotteso alle  nostre fragilità, i passi che ci lasciamo alle spalle lungo e le scelte che compiamo quando ci troviamo a un bivio.

«Perché a questo servono i libri, ad essere libres. Liberi» Conferma l’ambasciatore messicano, abbracciando con uno sguardo la platea «non ci potrebbe essere nome più perfetto per una fiera del libro: Più libri, più  liberi, come ciascuno dovrebbe essere».

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