“ Finché non inizierete a concentrarvi su ciò che deve essere fatto piuttosto che su ciò che è ‘politicamente possibile’, non c’è speranza. Non possiamo risolvere una crisi senza trattarla come una crisi. E se le soluzioni sono così difficili da trovare all’interno di questo sistema, forse dovremmo cambiare il sistema stesso”: è con queste parole che lo scorso dicembre Greta Thunberg ha rapito la platea della Conferenza della Nazioni Unite sul cambiamento climatico di Katowice, in Polonia, e con essa tutto il mondo. L’attivista svedese, sedici anni, eletta l’8 marzo donna dell’anno dai giornali del suo paese, grazie a un discorso perfetto e un carisma fuori dal comune è riuscita a far breccia nei media globali, ispirando migliaia di persone a seguire il suo esempio: dall’abitudine della giovane di saltare la scuola ogni venerdì per protestare sotto il Parlamento di Stoccolma affinché il tema del cambiamento climatico fosse inserito nell’agenda politica, nasce FridaysforFuture, un movimento spontaneo e autonomo che sta portando in piazza, ogni settimana, migliaia di ragazzi preoccupati per il destino del pianeta. Una mobilitazione internazionale come non si ricordava da tempo, al punto che per il prossimo venerdì 15 marzo sono previste oltre 860 proteste in 75 diverse nazioni, Italia compresa, che vede in campo le sue maggiori città, da Milano a Roma, da Bologna a Napoli.
Un coinvolgimento dal basso totalmente apolitico messo in atto da studenti dei licei e delle università, in un periodo in cui troppo spesso si tacciano le giovani generazioni di passività e immobilismo. Ma cosa vogliono davvero? “Il 97% degli scienziati è certo che il cambiamento climatico sia causato dall’azione umana” spiega Tommaso Felici, tra i coordinatori dei FridaysforFuture dell’attivissima Torino, dove le proteste si susseguono ormai da mesi “urge una rivoluzione culturale, un cambio di paradigma. Non solo chiediamo, ma pretendiamo un forte rilancio delle energie rinnovabili, sostanziosi interventi per il risparmio energetico di civili e industriali, una gestione sostenibile delle foreste, misure di contrasto al consumo del suolo, taglio degli incentivi ai combustibili fossili e un aumento delle ecotasse, la creazione di una rete efficiente di trasporto pubblico, l’implementazione di servizi di vuoto a rendere e, non ultimo, il rispetto degli accordi climatici globali”. Accordi, come quello siglato a Parigi nel 2015, con cui 195 Paesi si impegnavano a ridurre le emissioni per mantenere l’aumento medio delle temperature globali al di sotto dei 2°C, ma che restano oggi ancora inapplicati o si dimostrano insufficienti, come il Pacchetto Energia Pulita dell’Unione Europea, che si propone di ridurre i gas serra entro il 2030 per arrivare a una loro decrescita dell’80% entro il 2050, quando però il rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell’ottobre 2018, evidenzia l’urgenza di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C, azzerando del tutto le emissioni di CO2 entro il 2050. E proprio emissioni zero è uno dei capisaldi di FridaysforFuture, quello che, come sostiene Felici “è un obiettivo titanico ma possibile”.
Ed è forse proprio per questo senso di possibilità ancora aperte, di fiducia nel cambiamento rispetto a un sistema che fa sembrare tutto come già dato e irreversibile, che il movimento sta convincendo migliaia di giovani, spingendoli a manifestare in prima persona per la causa ambientalista anche in Paesi come il nostro, in cui le istituzioni, compresa la scuola, fanno ben poco per sensibilizzare al tema. Un’appropriazione della questione da parte dei ragazzi che, al di là dell’evidente necessità di intervenire – tutti abbiamo visto la foto dell’orso polare senza più cibo o della fauna marina sommersa di plastica, di catastrofi naturali che di naturale hanno ben poco, di persone che hanno contratto mali incurabili dopo le esposizioni a materiali chimici, fumi, rifiuti tossici di industrie che non sempre agiscono nella legalità o lo fanno con la complicità di una politica che non prende posizione – si fonda sull’idea di un nuovo “individualismo sociale”, per cui ognuno é responsabile dell’interesse condiviso, e deve necessariamente preoccuparsi non solo del qui e ora, ma anche per le generazioni future.
Fosse solo per questo, nell’epoca dipinta come dell’egoismo assoluto, dovremmo essere tutti con questi ragazzi, se non in piazza almeno nell’agire quotidiano, attingendo dal loro spirito per ricordare che, come cantava una canzone, non è vero, anche quando sembra inevitabile, che la ragione sta sempre col più forte. Cambiare si può.