Federica Santuccio dal Crocitti al crocevia del cinema italiano: il talento oltre il merito

“Il cinema italiano. Non è la solita boutade, siamo davvero a un passo dal baratro. Anzi, ci siamo già dentro”. Le recenti parole di Pupi Avati hanno fatto molto discutere gli attori del mondo cineasta e gli stessi produttori, i quali hanno replicato energicamente che l’industria del cinema è come qualsiasi altra impresa commerciale oggi, soggetta comunque agli stessi rischi e vantaggi che offriva il mercato dieci anni fa, ma in una diversa sfera economico-culturale che investe l’Italia.

Uno dei problemi che attanagliano per la maggiore il corpo malsano del nostro cinema, a cui viene rimproverato sempre più da una Hollywood vegetante il suo bilancio reddituale, è proprio la viziosa circolarità del merito artistico. Un processo che ben s’intenda non è nato oggi, ma che oggi sta ricevendo le sue più sincere intolleranze a una creazione, quella dello Star System, figlia del secolo scorso.

L’aggravante alla condanna capitale del cinema non è però concentrata sul meccanismo della Star, della stella che illumina l’audience, ma è il transito dallo Star System a un più odierno Pop Star System. La settima arte che aveva già rischiato di rimanere vittima del soldo del suo stesso mercato di matrice hollywoodiana, adesso è legittimamente inserita nell’albo delle inserzioni pubblicitarie della propaganda satellitare. In altri termini il talento democratico fa spazio al merito oclocratico emarginandosi dal calderone promiscuo dei volti radiotelevisivi e influencer, molto più accreditati dall’opinione pubblica che dalla regia stessa.

Una emulsione benefica a questa infezione cronica che sopporta il cinema entro il XXI secolo sarebbe un vero ricambio della scala valoriale, che veda il passaggio dentro la macchina gestionale di un tempo delle esigenze a un tempo delle emergenze. Che vengano quindi ripresi insieme all’attività censoria della critica, i precetti lasciatici da Pasolini, da Zavattini, da Fellini, e infine da Visconti della “umiltà mimetica”. Il vero attore non è colui che ha già recitato la realtà, ma colui che    non ha mai finto di recitarla sin dalla nascita. Non è il mestiere dell’attore asservirsi alla finzione del reale, ma distinguere l’azione del reale (da qui il suo actor ac actus).

Il talento che pertiene a quanti sanno esprimere questa distinzione deve tornare ad essere lo spartiacque tra gli attori e gli agenti, ma anche tra i registi e i produttori, e può solo avvenire attraverso il censimento della vera critica, e non la sua recensione passivante. Se infatti il talento arriva a coincidere col merito, si spiegherà anche il caso di Federica Santuccio.

Di una classe non troppo lontana del ’92, Federica Santuccio è di origine romana e ha visto gli schermi Rai già nella tenera età di 15 anni esibendo la sua passione precoce per il canto. L’emergenza che è stata riconosciuta dal pubblico a Federica le ha donato sin da subito la vista dell’Arte, lucida di risvolto civile e pregna di un senso quasi demiurgico che l’ha inoltrata al cantiere della scrittura. Nel 2017 è dato alle stampe il suo primo romanzo autobiografico La chiave blu da cui fuoriesce una insolita auto-cognizione della missione poetica della vita d’artista, che non si vedeva sin dai tempi moraviani. L’impulso all’energia creativa la sospinge da un terreno che non è quindi già quello teatrale, ma letterario, e che forse proprio per questo la conduce a proiettare in scena la maschera umana meglio di quanto l’impostazione accademica possa riuscire.

Non per questo tuttavia respinge il diploma dall’ “Accademia Artisti” italiana conferitogli nel 2019, ma anzi le frutta la finale del Festival di  Spello nel 2022 con un cortometraggio dopo l’uscita del suo secondo libro 100 stanze mai aperte. 

La sua vena ideoforme sembra negli ultimi anni esplicarsi a favore non tanto del pragma recitativo quanto più al logos teoretico, verso quindi una capacità direttiva dell’azione teatrale. Una sceneggiatura  tesa alla regia è l’esempio del suo primo film La mia luce scritto a quattro mani con Francesco Marchina nel 2023, da cui fuoriesce tutta la potenza espressiva di una idea quasi pasoliniana dell’Arte.

E quanto sia fondamentale l’atto scrittorio nel processo non solo registico ma anche di formazione teatrale, elemento da cui dipendono imprenscindibili (o dovrebbero) tutti i film contemporanei, è ribadito dall’ultimo libro Tu Artista pubblicato nel 2024, che si introietta nel lettore come apostrofe all’artista che dell’Arte crede di fare il suo mestiere, e non la sua vita. 

Federica Santuccio è uno dei nostri migliori esempi dichiarati al Premio Crocitti di Roma 2024, dove l’è stato conferito ultimamente il trofeo d’oro alla carriera,  di un cinema che potrebbe passare per il crocevia del talento accademico prima che per il binario del merito sistematico. Un crocevia è quello che propone l’opera di Santuccio che è disgiunzione tra il “pop star system” dei vip al “new star chance” dei nuovi talenti. Insomma dal privilegio popular all’opportunità del popolo.

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