Procedure e implicazioni della nuova normativa per le regioni italiane
Nella notte di mercoledì 19 giugno, la Camera dei deputati ha concluso un lungo dibattito approvando definitivamente il disegno di legge sull’autonomia differenziata. Questa misura, tanto attesa, definisce i criteri e il processo attraverso cui alcune regioni italiane potranno ottenere maggiore autonomia nella gestione di specifiche competenze. Il contesto politico che ha portato a questa approvazione affonda le sue radici nelle promesse elettorali della coalizione di centrodestra durante le elezioni politiche del settembre 2022.
Il percorso parlamentare, tuttavia, è stato tutto tranne che pacifico. I partiti d’opposizione hanno impiegato tattiche di resistenza politica per rallentare i lavori. Il 13 giugno, in un episodio che ha attirato l’attenzione nazionale, un deputato del Movimento 5 Stelle è stato aggredito in aula da parlamentari della maggioranza mentre cercava di consegnare una bandiera tricolore al ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli della Lega, noto sostenitore dell’autonomia differenziata.
In cosa consiste questa norma?
Il disegno di legge, presentato dal governo nel marzo 2023 e successivamente modificato, ha superato il vaglio del Senato solo lo scorso 23 gennaio. La legge sull’autonomia regionale differenziata è composta da 11 articoli e prevede che alle Regioni possano essere affidate dallo Stato, su loro richiesta, 23 materie. Tra queste, anche la tutela della salute, l’istruzione, lo sport, l’ambiente, l’energia e i trasporti.
Questione Lep
In proposito, tuttavia, rimane il nodo dei Livelli essenziali di prestazione (Lep) sull’intero territorio nazionale: per 14 delle 23 materie “richiedibili” dalle Regioni allo Stato, infatti, le intese potranno essere sottoscritte solamente dopo la definizione dei Lep, livelli sotto i quali non si potrà andare e che dovranno essere stabiliti dal governo entro 24 mesi dall’approvazione della legge. Giorni fa, per rispondere alle accuse delle opposizioni di “spaccare” l’Italia con questa riforma, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva parlato di un percorso «che si andrà a definire nei prossimi anni», assicurando: «I Lep sono finanziati dallo Stato e nessuna regione può violarli o prevedere condizioni peggiorative. Non si parla di togliere ad una regione per dare ad un’altra ma di togliere dallo Stato per dare alle regioni virtuose sia che esse siano al Nord che al Sud».
Molto si era parlato, nei giorni scorsi, dell’esame del provvedimento («Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione») da parte del Quirinale, approvata in via definitiva il 19 giugno a Montecitorio. Era filtrato che il Colle si sarebbe preso «tutto il tempo necessario» per esaminare il testo, alla luce anche dei precedenti legislativi, ovvero la riforma del Titolo V della Costituzione operata a maggioranza dal centrosinistra nel 2001 e la cosiddetta «devolution» del centrodestra, bocciata, poi, al referendum confermativo del 2006.
Una decisione accolta con grande soddisfazione, soprattutto dalla Lega, che dell’autonomia differenziata ha fatto la sua bandiera politica e il cardine della sua azione di governo. «Avanti con l’Autonomia, una grande opportunità di crescita e sviluppo per l’Italia intera, da Nord a Sud», ha esultato sui social il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini. Mentre per Luca Zaia, presidente del Veneto, «dopo il 19 giugno, anche il 26 giugno diventa una data storica. Appena sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale, avvieremo le trattative per chiedere le materie previste in Costituzione». E i gruppi parlamentari leghisti hanno parlato di «occasione importante di autogoverno dei territori».
La risposta del Presidente della Repubblica
Il contesto normativo è stato solido: il vaglio preventivo di costituzionalità è stato superato, la legge sull’autonomia regionale differenziata non presenta manifesti profili di illegittimità rispetto alla Carta fondamentale. Nel tardo pomeriggio di martedì 25 Giugno, infatti, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato la normativa, che entrerà in vigore 15 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Si tratta di norme soltanto procedurali che non effettuano alcun trasferimento di funzioni, i quali potranno avvenire solo dopo intese tra Stato e Regioni da approvare con altre leggi.
Era subito chiaro, comunque, che Mattarella non avrebbe rinviato la legge alle Camere per un nuovo esame (come chiedeva il Movimento 5 stelle), prerogativa che gli ultimi quattro presidenti della Repubblica (Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella) hanno esercitato complessivamente 12 volte, ma l’attuale inquilino del Quirinale una soltanto, per la legge in materia di mine antiuomo.
Le posizioni sull’autonomia differenziata sono nettamente divise. I sostenitori della legge argomentano che un maggiore grado di autonomia permetterà alle regioni di migliorare i servizi per i cittadini e di rendere più efficiente la spesa pubblica regionale. Dall’altra parte, i critici temono che questo possa aumentare le disuguaglianze tra le regioni, peggiorando i servizi nelle aree meno sviluppate del paese.
La galassia delle Regioni contrarie all’autonomia differenziata accelera sul referendum abrogativo. Era già stata annunciata la nascita di un Coordinamento tra i territori dem (Emilia-Romagna, Campania, Puglia e Toscana) e M5s (Sardegna) per scrivere un testo condiviso e ‘inattaccabile’ da sottoporre alla Consulta. Tra giovedì e venerdì le cinque Regioni terranno una riunione per esaminare il testo.
In Emilia-Romagna, i capigruppo del centrosinistra hanno scritto alla Regione per sollecitare l’indizione del referendum abrogativo, accelerazione su cui pesano le vicine dimissioni del presidente Stefano Bonaccini che entro il 16 luglio dovrà entrare al Parlamento europeo. I capigruppo di maggioranza, dem e M5s, hanno anche preparato il testo per il quesito referendario (‘Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, ‘Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione?’) e hanno sollecitato il presidente dell’assemblea regionale a inviare la deliberazione ai consigli regionali.
Un percorso simile è stato annunciato nella giornata di ieri in Campania, che riunirà il proprio Consiglio l’8 luglio. A ruota anche Toscana e Puglia si sono mosse, anche se non è ancora nota la data per la discussione della delibera. Ma c’è anche la Sardegna della pentastellata Alessandra Todde, che si dice “orgogliosa che la regione sia capofila contro l’autonomia differenziata”. Todde ha informato che sul quesito referendario si stanno “stringendo i tempi, con l’Emilia Romagna che è più avanti, ci stiamo confrontando con il testo che loro hanno prodotto”.
Sul fronte della impugnativa per fermare la legge Calderoli, ha detto ancora Todde, “spetta alla Sardegna” perché “essendo una regione a statuto autonomo ha maggiori possibilità, ma stiamo raccogliendo informazioni”. Sul piede di guerra molti comuni calabresi, in pressing sul governatore Roberto Occhiuto: i territori che chiederanno il referendum abrogativo “da soli bastano, ma la Calabria non resti a guardare e si associ a queste Regioni”. Storia diversa per la Regione Piemonte che, dopo l’insediamento della nuova giunta regionale, ha annunciato in giornata che è pronta a chiedere subito l’autonomia differenziata per 9 materie non Lep.
In sintesi, l’approvazione della legge sull’autonomia differenziata segna un punto cruciale nella storia legislativa italiana, con implicazioni significative per l’organizzazione e la gestione del potere tra lo Stato centrale e le sue regioni. Resta ora da vedere come questa autonomia verrà effettivamente implementata e quali saranno gli impatti reali sulla coesione sociale e territoriale del paese.