Dopo il summit di martedì scorso tra Macron e il presidente ucraino Zelensky, è giunta notizia di una possibile data della definitiva escalation russa: 21 febbraio 2022. Data molto simbolica perché sarebbe il giorno dopo la chiusura dei giochi Olimpici invernali di Pechino. A sostenere questa notizia è il capo dell’intelligence di Kiev Valerij Kondratyuk. In effetti, ci chiedevamo un po’ tutti quando sarebbe arrivata la data definitiva delle contrattazioni e/o di una possibile invasione del territorio ucraino che, proprio in questo momento, non sarebbe cosa gradita soprattutto causa pandemia. Ma le varie esercitazioni militari di Mosca nei territori confinanti l’Ucraina avevano destato non poco sospetto. In particolare, quella organizzata a Yelsk in Bielorussia che ha dato dimostrazione di quanto si tratta di una vera e propria guerra.
Il piano si chiama “Union Resolve 2022”, iniziato nella mattinata di ieri e si concluderà il 20 febbraio perché ci sono tutte le buone intenzioni da parte della Russia di rispettare la tregua Olimpica, sancita fin dall’inizio dei giochi.
Il dispiegamento russo
30 mila soldati russi, accompagnati da due battaglioni di sistema missilistici terra – aria e 12 caccia Sukhoi. Mosca non attaccherebbe direttamente dal Donbass – dove ci sono 130 mila uomini – ma da Novaya Rudnva dal lato bielorusso. A capo dell’esercito ci sarebbe il generale ed eroe di guerra Valery Gerasimov, considerato da molti lo stratega che ha ridisegnato le forze armate in questi anni. Inoltre, è stato invitato tutto il personale dell’ambasciata russa in Ucraina non essenziale all’operazione ad andare via temporaneamente il paese.
Nonostante Mosca smentisca sempre qualsiasi assalto a breve termine, il presidente Zelensky li accusa di pressioni psicologiche. Cosa che non è imputabile perché a tutti gli effetti, dagli Stati esterni, sembra questo. Zelensky conferma anche che il loro esercito è pronto per andare in guerra e difendere onorariamente il proprio Paese, anche se spera che il richiamo alla guerra non sia necessario.
Il Protocollo di Minsk
Nonostante i vari colloqui con i presidenti dei vari Stati europei ed extra europei, lo scontro sembra inevitabile. La Germania continua a mostrarsi fiduciosa in un ridimensionamento da parte della Russia e speranzoso di non agire come ripetutamente detto con la questione del gas. Mentre con il Regno Unito le cose non vanno bene: i litigi tra Liz Truss e l’omologo Lavrov e l’incontro tra Boris Johnson e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha portato alla decisione ulteriore di inviare altri mille soldati a difesa dell’Ucraina.
Da parte dell’Italia, il presidente Draghi si suggerisce di tornare agli Accordi in 13 punti di Minsk come chiave per fermare l’invasione russa. È un accordo di 7 anni fa a cui gli Stati dell’UE fanno riferimento dopo le visite di Macron fra Mosca, Kiev e Berlino, dopo le telefonate di Draghi a Putin e il viaggio di Scholtz a Washington. Viene definito anche “Minsk II”, fu stipulato nella capitale della Bielorussia l’11 febbraio 2015 e firmato dai capi di Stato di Russia, Ucraina, Francia e Germania per porre fine alla guerra del Donbass.
Il presidente Mario Draghi aveva già dichiarato il 22 dicembre scorso, dopo le telefonate con Putin, che i rapporti tra Ucraina e Russia sono disciplinati da questi accordi, i quali non vengono osservati da nessuna delle due parti. Quindi, un primo passo sarebbe quello di prendere maggiore atto degli Accordi e rispettarli.
Ma cosa prevede il protocollo di Minsk? Innanzitutto, il cessate il fuoco, la liberazione e lo scambio di prigionieri, nuove elezioni, grazia e amnistia per chi ha partecipato alla rivolta. Nel punto 11 del Protocollo si prevede un intervento per modificare lo stato politico dell’Ucraina, ad esempio, con il cambio della Costituzione del paese per riconoscere alle regioni separatiste margini ampi di autonomia. Il testo recita così:
«Effettuare la riforma costituzionale in Ucraina attraverso l’entrata in vigore, entro la fine del 2015, della nuova Costituzione che preveda come elemento cardine la decentralizzazione; e prevedere una legislazione permanente sullo status speciale delle aree autonome delle regioni di Donetsk e Lugansk che includa, inter alia, la non punibilità e la non imputabilità dei soggetti coinvolti negli eventi avvenuti nelle citate aree; il diritto all’autodeterminazione linguistica; la partecipazione dei locali organi di autogoverno nella nomina dei Capi delle procure e dei Presidenti dei tribunali delle citate aree autonome»
Questo punto è la goccia che fa traboccare il vaso: traspare che il protocollo vada bene solo a Mosca mentre gli stessi ucraini e i separatisti non sono affatto soddisfatti. Forse è questo che ha impedito la buona riuscita del Protocollo in 7 anni?