«Un romanzo che avrebbe potuto essere scritto da un’aquila»: è così che lo scrittore britannico G.K. Chesterton definisce Cime tempestose (Wuthering Heights), il romanzo scritto da Emily Brontë e pubblicato nel 1847. Come un’aquila infatti Emily sorvola, dall’altezza della sua scrittura assoluta (vale a dire sciolta dai legami convenzionali), i grandi temi che attraversano la nostra esistenza: l’amore e l’odio, la gelosia e la vendetta, la perdita e la morte.
Ed è su questa giovane donna dello Yorkshire, aquila della penna, che è incentrato il lungometraggio Emily, nelle sale italiane dal 15 giugno per BiM dopo l’anteprima al Toronto International Film Festival 2022.
Emily è il film d’esordio dell’attrice anglo-australiana Frances O’Connor, già interprete di Mansfield Park, film basato sull’omonimo romanzo di un’altra grande autrice inglese: Jane Austen.
Il film, che è anche ma non solo un biopic, intesse uno stretto legame con Cime tempestose: la regista, attraverso le scene, stimola il pubblico a visualizzare il sostrato di ispirazione su cui l’autrice ha costruito il suo romanzo. La sceneggiatura cerca di restituirci la ricca complessità dell’universo poetico di Emily Brontë, senza tuttavia distaccarsi troppo dalla storia e dalla biografia, così che il film risulta, come spiega O’ Connor “per metà la sua vita e per metà Cime tempestose, con l’aggiunta di qualcosa di mio”.
L’assenza di informazioni sulla vita di Emily (le poche fonti, che riguardano prevalentemente la sorella Charlotte, non possono essere considerate completamente attendibili) si presta ad agevolare un approccio al film che è all’insegna della reinterpretazione e dell’ipotesi immaginativa più che del rigore documentaristico.
L’esempio più importante è rappresentato dalla storia d’amore che è l’asse portante del film, quella tra Emily e il curato William Weightman, che non è documentata da nessuna fonte, ma rispecchia l’amore intenso e tormentato che lega indissolubilmente Catherine ed Heathcliff, i protagonisti di Cime tempestose.
Quel che interessa alla regista non è dunque la veridicità della passione clandestina, e neanche l’autentico impatto che può aver avuto sulla scrittura del romanzo, ma la riscrittura della biografia di Emily Brontë tramite la sua opera letteraria, la vita osservata e modificata attraverso la lente dell’arte, che con essa si mescola e si confonde, fino a che non è più visibile alcuna distinzione.
O’Connor si dimostra dunque in grado di realizzare una proposta cinematografica equilibrata, in cui un’impostazione tradizionale di fondo lascia spazio ad incursioni contemporanee. Il risultato è una narrazione personale e potente, che è sostenuta da due attori particolarmente convincenti: l’anglo-francese Emma Mackey, che riveste il ruolo di assoluta protagonista, e il britannico Oliver Jackson-Cohen, nei panni del curato William Weightman.
Emma Mackey compensa un volto dai tratti forse troppo moderni per incarnare una gentildonna dell’ottocento, con una grande sensibilità e maestria interpretativa che le permettono di restituire al pubblico un ritratto molto verosimile dell’ampia gamma di sentimenti che animano il suo personaggio. Oliver Jackson-Cohen si spinge ancora più in là grazie a una prova attoriale che ci regala un’immedesimazione così profonda da trasformare il personaggio in autentica persona.
La fotografia di Nanu Segal non presenta la grazia patinata caratteristica dei film in costume, ma è realistica e sensoriale, tanto da abbracciare la brughiera dello Yorkshire, protagonista naturale del romanzo, di cui quasi ci sembra di toccare l’erba bagnata dalla pioggia e di percepire il vento ostinato sul viso e nei capelli.
Se volete farvi spettinare da un film in cui confluisce il meglio dell’atmosfera e della sensibilità del romanticismo letterario e artistico, Emily è (ancora per qualche giorno) al cinema che vi aspetta.
Come la corrente letteraria del romanticismo incarna nei suoi contenuti, trovo la stesura di questo articolo (del cui film argomentato, sono stata spettatrice) ‘sublime’, accurata e raffinata! Ancora una volta, un plauso accademico alla abile penna di Beatrice!