Elezioni in Iran: vince il “riformista” Pezeshkian. Aperto a nuovi accordi sul nucleare: situazione attuale e scenari futuri

Con 16.384.403 voti contro i 13.538.179 del suo rivale ultraconservatore Saeed Jalili e con un’affluenza alle urne che stavolta è arrivata a quasi il 50% degli aventi diritto (61.452.321 elettori) sabato 6 luglio Massoud Pezeshkian è stato eletto il nuovo Presidente della Repubblica islamica: “Tenderemo la mano dell’amicizia a tutti. Siamo tutti popolo di questo Paese. Ci sarà bisogno dell’aiuto di tutti per il progresso“: così il neoeletto presidente, ex ministro della Sanità, alla tv di Stato iraniana dopo l’emanazione del risultato del ballottaggio che si è svolto venerdì 5 luglio dopo non poche polemiche visto l’astensionismo del primo turno e lo scarso interesse della popolazione civile che ha incoraggiato al boicottaggio, certi che, qualsiasi fosse stato il risultato, nulla sarebbe cambiato per il Paese.

Dopo la dichiarazione dei risultati invece, i sostenitori di Pezeshkian sono scesi in strada a festeggiare la possibilità di una svolta riformista ed un atteggiamento quanto meno pacato promesso dal neo Presidente in particolare nei confronti dell’obbligatorietà del velo per le donne iraniane.

E’ il nono presidente a salire in carica in Iran ma il primo a proporre un tentativo di conciliazione che seppur tale non sarà certamente radicale visto che dovrà fare i conti con l’effettiva gestione del capo religioso supremo, l’ayatollah Ali Khamenei, a cui spetta, per qualsiasi piano strategico di politica interna o estera, l’ultima parola e di fatto l’approvazione o meno: questo, in particolare, riguardo al controverso programma nucleare iraniano e sul sostegno di Teheran alle milizie estremiste in Libano e a Gaza.  

Dall’altra, il presidente può influenzare le strategie del paese: i suoi elettori sono i giovani e gli appartenenti al ceto medio, forza propulsiva del Paese che spinge ad una drastica riduzione del conservatorismo storico israeliano e ad una maggiore apertura dell’Iran al liberismo sociale. Khamenei inoltre ha 85 anni e Pezeshkian sarà strettamente coinvolto nella scelta della prossima guida religiosa del paese potendo quindi di fatto influenzarne la scelta.

Perché pesano gli accordi sul nucleare

La notizia della presenza di due siti nucleari clandestini in Iran nel 2002 allarmò l’intera comunità internazionale in quanto, fermi gli accordi precedentemente sottoscritti, non fu informata al riguardo nemmeno per la prevista verifica dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea).

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu a partire dal 2006 e fino al 2013 ha emesso nove risoluzioni, imponendo all’Iran sanzioni economiche (incluso il blocco delle esportazioni di petrolio) e l’embargo mentre ulteriori restrizioni sono state imposte dagli Stati Uniti, con gravi ricadute sull’intera economia del Paese. 

Da qui sono iniziati i dissidi con la comunità internazionale ma in particolare con gli Usa fino al 2013, quando il Presidente Barack Obama, nel 2015, provò un tentativo di conciliazione che portò alla definizione dell’accordo Jcpoa, Joint Comprehensive Plan of Action che comprendeva un generale e progressivo rallentamento del programma nucleare militare iraniano in cambio della rimozione di alcune delle sanzioni internazionali imposte contro Teheran.

In particolare, l’Iran si impegnava, nell’arco di tredici anni, su tre fronti: 1. nella eliminazione delle sue riserve di uranio a medio arricchimento; 2. a tagliare del 98% le riserve di uranio a basso arricchimento; 3. a ridurre di due terzi le sue centrifughe a gas. Dall’altra gli Stati Uniti erano impegnati a non introdurre nuove sanzioni e a non riprendere quelle archiviate post negoziato: un accordo per molti considerato storico ma non per la destra statunitense e per Israele, paese con cui l’Iran non ha mai tessuto buoni rapporti.

Con Trump gli accordi vennero mantenuti, nonostante il dissenso degli alleati europei ma su sollecitazione di Israele; questo fino al 2018, quando Trump decise di uscire unilateralmente dall’accordo, ripristinando tutte le sanzioni e aggiungendone di nuove, compreso l’embargo petrolifero. In particolare, questa decisione mise l’Iran in grossa difficoltà da un punto di vista economico e finanziario – il 70% dell’economia iraniana si basava sul mercato del petrolio.

Non solo: nel 2020 Trump ha aggiunto ulteriori sanzioni che sono andate a gravare ancora di più sull’economia iraniana già al tracollo, avendo escluso il paese anche dal commercio di cibo e medicinali. La reazione dell’Iran fu per un tentativo di conciliazione, cercando il supporto dell’Unione Europea verso gli Usa, ma dopo richieste non accolte e l’uccisione, nel novembre 2020, del generale iraniano Qasem Soleimani e di Mohsen Fakhrizadeh-Mahabadi, direttore del programma nucleare iraniano l’Iran, con la spinta del presidente Hassan Rouhani, cominciò nuovamente il processo di arricchimento dell’uranio con percentuali sempre maggiori, venendo di fatto meno all’Accordo Jcpoa.

L’intenzione di Biden, fin dalla sua elezione, è stata quella di andare verso un nuovo accordo anche se alcuni spingono per ripristinare i vecchi esistenti. A marzo scorso è stata preferita dall’Iran una via indiretta di partecipare ai negoziati con gli Stati Uniti ed è stata istituita una commissione di cui fanno parte i paesi del precedente accordo ad esclusione degli Usa, la cui delegazione, pur non partecipando direttamente ai negoziati, viene informata del progresso dei lavori. 

Cosa ci si aspetta adesso

Se con la presenza di Raisi si è verificato un ulteriore fermo sulle trattative con gli Usa, è auspicabile che con Pezeshkian il Paese propenda verso una maggiore collaborazione con l’Occidente.

Con Raisi infatti erano state proposte rivisitazioni sugli accordi definite eccessive sia dagli Usa che dall’Europa visto che spingevano per una abolizione di tutte le sanzioni imposte all’Iran dal 2017 a oggi, sia economiche sia nucleari: richiesta non presa in considerazione in quanto negli ultimi anni il programma di arricchimento dell’uranio in Iran è proseguito senza sosta tanto da destare sempre più preoccupazione: secondo il centro studi americano Arms control association, l’Iran sarebbe stata in grado di poter costruire una bomba atomica nel giro di un solo mese. Situazione questa che non fu contemplata da Raisi ma gli servì per premere sui negoziati, visto che negli ultimi mesi gli Usa stavano concretizzando l’idea di una linea ancora più dura per l’Iran. 

Con la morte di Raisi sarà dunque interessante considerare il prosieguo delle trattative, se si giungerà a nuovi accordi, se verranno ripristinati i precedenti ed in quale misura e come Pezeshkian instaurerà questa “nuova apertura” del Paese verso l’Occidente oltre alla risposta che ne riceverà. 

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