Rifuggiamo l’ignoto o lo cerchiamo?
Cosa si cela dietro l’amore sconfinato che proviamo nei confronti di alcune opere d’arte, verso alcuni libri e fatti storici?
Il Santo Graal, la coppa nella quale sarebbe stato raccolto il sangue di Cristo; lo sbarco sulla Luna nel non lontano 20 Luglio 1969; l’incidente stradale che nel 1997 uccise Lady Diana; ma anche l’arcano sorriso de La Gioconda di Leonardo da Vinci, lo sguardo magnetico del La ragazza con l’orecchio di perla di Vermeer, i suoi occhi liquidi che seducono lo spettatore dal XVII secolo…
Perché alcune opere d’arte e leggende ci procurano da sempre un così alto grado di attrazione? Qual’è il comun determinatore che accende le nostre emozioni e ci spinge a fantasticare ad occhi aperti, in maniera tanto intensa da generare una vera e propria mitologia?
Inutile negarlo, si tratta del Mistero.
E’ il segreto che si nasconde nei fatti ad attrarci, la storia nascosta dietro le pennellate, dietro i volti e le pose congelate, nelle iridi che non parlano eppure raccontano di epoche sconosciute, di avventure travolgenti ancora da svelare. Il mistero racchiuso nelle foto d’epoca, nei quadri, nei fatti offuscati dal tempo eppure indelebili, è diventato nei secoli una vera e propria Musa ispiratrice. I primi a rimanerne affascinati sono stati gli artisti stessi che, cercando di dare corpo all’immaginario legato ad opere famose, hanno finito per darne vita a centinaia di altre, come per effetto di una sorta di germinazione artistica. Ne sono un esempio l’irriverente L.H.O.O.Q. di Duchamp o Il Codice da Vinci di Dan Brown, il best-seller che nel 2004 ha venduto circa 80 milioni di copie; ma anche il romanzo di Tracy Chevalier La ragazza con l’orecchino di perla, dalla quale è nata la sceneggiatura dell’omonimo film di Peter Webber (2003).
Eppure non si tratta solo di arte, ma anche di ricerca scientifica.
Il mistero infatti, è la scintilla dalla quale sono nati progetti come Girl in the spotlight, un progetto che ha coinvolto un gran numero di scienziati, artisti e studiosi di fama mondiale, i quali hanno lavorato strenuamente sotto la guida del restauratore Abbie Vandivere per raggiungere un unico obiettivo: svelare, almeno parzialmente, gli enigmi legati al già citato quadro di Vermeer, La ragazza con l’orecchino di perla, considerato uno dei ritratti più iconici e riprodotti al mondo.
Per due anni il team di esperti della Mauritshuis Gallery dell’Aia (Olanda) ha analizzato il dipinto avvalendosi delle tecniche più avanzate che, attraverso la scansione completa della tela, hanno rivelato particolari tecnico-pittorici finora ignoti: come le ciglia sottilissime (una volta credute inesistenti), lo sfondo, rivelatosi essere di un verde cupissimo, e persino un’eterea peluria, tanto impalpabile quanto estremamente realistica.
Lo studio ha persino rivelato le origini geografiche della perla che, a quanto pare, sarebbero legate all’area del Peak District, in Inghilterra.
Ma si tratta solo di semplice curiosità o c’è di più ?
Alcune teorie della psicologia moderna hanno azzardato l’ipotesi che l’attrazione verso il mistero e, in generale, verso tutto ciò che non riusciamo a decifrare o comprendere, non derivi propriamente dal desiderio di conoscere, bensì dall’oblio generato dalle nostre paure che, agendo in noi inconsciamente, ci spinge a scappare e a ricercare il modo di elaborare le nostre insicurezze più profonde. Secondo queste teorie, l’attrazione per il mistero nascerebbe non dalla mera curiosità quindi, ma dalla necessità di cancellare i dubbi che ci paralizzano, arrivando a possedere a pieno la realtà che ci circonda.
Molto innovative, in merito, risultano le teorie scientifiche che ricollegano l’amore per il mistero, l’avventura e persino l’irrefrenabile voglia di viaggiare, con la genetica.
Il riferimento è al DRD4-7R, chiamato anche “il gene del viaggio” o “gene del viaggiatore” il quale, secondo gli studi pubblicati sulla rivistaEvolution and Human Behaviour, determinerebbe il desiderio di esplorare, di praticare sport estremi e secondo alcune ricerche —stavolta illustrate dal JNeurosci (The Journal of Neuroscience)— sarebbe persino correlato alla longevità degli esseri umani.
Secondo il modello psico-biologico della personalità di Robert Cloninger, il desiderio di novità, considerato uno dei tratti fondamentali dell’uomo, così come l’euforia che ci afferra alla base dello stomaco ogni qualvolta ci troviamo di fronte ad un enigma, risiede quindi nei nostri geni, o meglio, in una mutazione che li riguarda. Il gene DRD4 infatti, è direttamente collegato ai meccanismi che regolano la dopamina, un messaggero chimico del cervello fondamentale nei processi emotivi, di apprendimento e gratificazione attraverso il piacere.
I ricercatori hanno riscontrato, attraverso molteplici esperimenti, che solo il 20% circa della popolazione mondiale possiede la variante nota come DRD4-7R e che, tale percentuale, si contraddistingue dal resto della popolazione grazie a una spiccata curiosità, una sorta di irrefrenabile irrequietezza (o Wanderlust) che spinge sì, al movimento, ma anche a scavare più a fondo dentro di sé e le cose, a porsi sempre nuovi interrogativi alla quale rispondere.
Centinaia di studi sull’essere umano hanno rilevato che la 7R rende le persone più propense a fronteggiare il pericolo, esplorare nuovi luoghi e dare vita a nuove idee. Essa infatti, non spinge unicamente all’azione e alla ricerca di approcci alternativi ma, per via del suo stretto legame con la dopamina, influisce in larga parte anche sul piano della memoria (non a caso, tale mutazione sarebbe legata ai soggetti da ADHD). Gli studi effettuati sugli animali che simulano l’azione genetica della 7R —nello specifico gli esperimenti sui topi— hanno inoltre messo in evidenza un potenziamento delle facoltà legate all’attenzione per i dettagli e al piacere connesso al cambiamento e alle novità.
Come se non bastasse, nel 2018, gli scienziati hanno condotto un’analisi basata su ben 24 studi accademici su 4933 partecipanti, identificando, in via definitiva, la relazione tra il desiderio di innovazione e la mutazione genetica. Attraverso i test è stato scoperto che gli esseri umani possono avere un numero diverso di ripetizioni della regione di 48 bp nel gene DRD4, la cui variante iniziale è un gene con quattro ripetizioni. Tuttavia, in alcuni individui si è riscontrata la presenza di un allele avente 7 ripetizioni, il cosiddetto “allele lungo” del gene DRD4, il quale si traduce in una minore risposta del recettore alla dopamina. I proprietari di questo particolare allele nella maggior parte dei casi si sono rivelati acerrimi viaggiatori e ricercatori di novità.
Nell’ambito della stessa ricerca, inoltre, è stato dimostrato che l’allele lungo è direttamente associato alla migrazione umana e che quindi, sarebbe stato proprio lui a spingere i primi ominidi a colonizzare le diverse regioni del mondo. Nelle popolazioni migratorie infatti, rispetto alle popolazioni sedentarie, si riscontra una frequenza maggiore di individui possedenti l’allele lungo. Da ciò consegue l’ipotesi degli scienziati secondo cui, in tempi antichi, la lunghezza del viaggio di una tribù, dalla patria originaria a un nuovo luogo di insediamento, sarebbe stata direttamente proporzionale al numero di individui possedenti una mutazione del gene DRD4-7R.
È importante precisare che la fissazione dell’allele lungo del gene DRD4 è stata molto probabilmente facilitata dalla selezione naturale, nonché dal fenomeno della globalizzazione la quale, avvicinando popoli diversi, ha di certo contribuito ad accendere l’interesse verso culture e abitudini nuove, spingendo gli individui, sopratutto nel caso delle generazioni più giovani, all’abbandono della propria comfort zone.
In conclusione, come osserva il fisico Leonard Mlodinow, è necessario sottolineare che, grazie alle «novità e i cambiamenti più o meno radicali che dobbiamo affrontare nella società contemporanea, la maggior parte di noi possiede una buona dose di neofilia nel proprio patrimonio genetico» e che quindi, in definitiva, è l’ambiente nella quale ci si sviluppa a condizionare i tratti caratteriali attribuiti alla genetica. La curiosità, lungi dall’essere un tratto genetico, è un “sentimento” da coltivare, frequentando ambienti ricchi di stimoli, praticando sempre nuove attività e leggendo buoni libri, in modo da permettere alle facoltà insite nel nostro DNA di non appassire, ma di essere sfruttate a pieno.