“Whatever it takes” è una locuzione finita sulla bocca di tutti, negli ultimi giorni. Perfino coloro che, lecitamente, non hanno mai nutrito alcun interesse verso l’apparato economico dello Stato – salvo poi contestarne lo stato di salute appresso ai discorsi sbrigativi dei leader politici – nei giorni scorsi hanno abusato del whatever. Mario Draghi è finito nel vortice delle tendenze per aver difeso la posizione dell’Italia sulla recessione, che a quanto pare sarà inevitabile, ma coercibile. Chiunque nel panorama politico e mediatico nazionale ha tirato la manica della giacca dell’ex presidente della Bce. E forse ha prolungato un po’ troppo la presa.
In tempi così duri, in cui attualmente stiamo affrontando solo la prima parte della crisi (quella più umanamente angosciante), non è opportuno assumere i medesimi atteggiamenti che si hanno a ridosso di una scadenza elettorale. Il richiamo all’unità nazionale, oggi, è forte più che mai. La politica, nelle persone dei suoi rappresentanti, non si sta comportando in siffatta maniera. Un esempio? Al decreto “Cura Italia” sono state aggiunte 1700 pagine di emendamenti da parte di tutte le forze politiche in Parlamento. Il Presidente Mattarella, per citare il più autorevole tra i vari pareri convergenti, aveva espresso il monito di accelerare i tempi della burocrazia massimamente in una siffatta emergenza. Ecco il risultato. Le opposizioni si comportano da oppositori soprattutto in tempi di pandemia. E così si accende il dibattito nei talk show televisivi, nei quali il vaniloquio aumenta proporzionalmente alla necessità dei collegamenti telefonici (indubbiamente più tardivi nella ricezione) e all’acredine dei protagonisti. La faziosità partitica è cresciuta, anziché diminuire in favore di una linea comune. Faziosità, inoltre, celata dietro alla meschinità di chi sostiene affermazioni del tipo “io sono con il Governo, ma…”; proprio quella congiunzione avversativa è il problema.
Poi, è chiaro, ben vengano le obiezioni e siano santificati i dibattiti: grazie a essi l’Italia gestisce la crisi mediante un sistema democratico. Non vengano, però, strumentalizzate le critiche per nascondere una propaganda elettorale iniziata e mai finita. È tempo di proposte, di collaborazione e di unione.
In tutto ciò, Mario Draghi è considerato un’eccellenza nostrana in tutto il globo. Bene così. Ma attenzione a non strizzargli troppo l’occhio: la favola del pastorello che gridava “Al lupo! Al lupo!” non è passata mai di moda.
L’esperienza del professor Draghi sarebbe utilissima all’Italia della ripresa economica. Una ripresa che sarà ancor più dura del post 2008-2009, perché la crisi incombente nascerà in casa nostra e impatterà tanto sull’offerta quanto sulla produzione. Tuttavia, se l’ipotesi dell’ex leader della Bce si concretizzerà, come molti si augurano, il tavolo della discussione verrà apparecchiato più avanti. Al momento giusto, auspicabilmente il prima possibile, perché vorrà dire che l’emergenza sarà scemata con anticipo, nel rispetto delle procedure costituzionali Mario Draghi sceglierà una squadra competente, capace di far ripartire il motore dell’Italia. Una scelta a servizio del Paese, per il bene di una nazione in ginocchio, costretta a trovare la forza di rimettersi in piedi. Prima di allora, però, non è bene fantasticare.
Draghi e avvoltoi appartengono a due mondi opposti: i primi, al mondo della fantasia; i secondi, a quello della realtà. I draghi non esistono. Gli avvoltoi sì. Quanto vorremmo che fosse il contrario!