Con Death of a Unicorn, il regista esordiente Alex Scharfman prova a coniugare la satira sociale con l’horror grottesco conun’idea narrativa tanto bizzarra quanto accattivante: unicorni assassini che massacrano miliardari. Il risultato, tuttavia, è un film fatto più di buone intenzioni che di coerenza narrativa o stilistica.
Elliott (Paul Rudd) è un avvocato servile al soldo di una famiglia ultra-ricca e moralmente corrotta, sua figlia Ridley (Jenna Ortega) è un adolescente idealista ancora segnata dalla morte della madre. Durante un viaggio verso lo chalet montano dei Leopold, investono un unicorno. L’animale, ben lontano dall’immaginario arcobaleno e infantile, diventa il pretesto per una riflessione sullo sfruttamento delle risorse naturali, la deriva dell’industria farmaceutica e la voracità del capitalismo.
Richard E. Grant nei panni di Odell Leopold incarna i tic da patriarca decadente, di nuovo come in Saltburn. Il resto della famiglia di miliardari è interpretato Téa Leoni e Will Poulter, entrambi sempre troppo sopra le righe. Menzione d’onore a Anthony Carrigan, irresistibile nei panni del maggiordomo stanco ma impassibile. Cast quanto ricco quanto sacrificato in una sceneggiatura imbastita più come una serie di sketch scollegati che come un racconto coerente.
L’acerbo regista gioca con i codici del genere, cioè il fantasy e teen horror anni ’90 , ma senza mettere mai nulla di originale. L’umorismo è rarefatto, il ritmo zoppicante e i personaggi sono delle caricature in attesa del proprio turno per morire. Deludente il design degli unicorni, abbastanza ispirato ma mai realmente inquietante.
L’irruzione finale nel territorio del monster movie, ultra splatter e ultra gore riesce a ravvivare l’insieme. Un crescendo pieno di sangue che diverte e qualche salto sulla poltrona te lo fa fare. Qui il tono si avvicina a certo cinema moderno da “birra in mano” come Coc inorso (non certo una pietra miliare della storia del cinema)
Death of a Unicorn è un film che avrebbe potuto essere migliore se avesse approfondito quel contrasto interessante in sceneggiatura, quella lotta tra mitologia e capitalismo moderno. La visione scorre ma spesso inciampa nel suo stesso cinismo, soffocato da una satira già vista e da una scrittura che non osa davvero. Un concept brillante, un’esecuzione incerta.