Dall’Oceano alla timeline: Meloni e Trump in cerca di una nuova rotta (tra like e dazi)

Dallo Studio Ovale a Roma, tra il ricordo di Colombo e le frecciatine sui “free-loaders”, il vertice del 17 aprile ridisegna (forse) il destino dell’Occidente.

1492 – 2025: il viaggio continua. Forse

Nel 1492, le Capitolazioni di Santa Fe autorizzarono ufficialmente il viaggio che avrebbe portato Cristoforo Colombo verso il Nuovo Mondo. Quell’accordo tra la corona spagnola e l’esploratore genovese non era solo un contratto per una traversata, ma un atto fondativo dell’Occidente come lo conosciamo oggi: un’Europa che si protende verso l’ignoto, verso il commercio, verso la conquista.

Esattamente 533 anni dopo, il 17 aprile 2025, Giorgia Meloni varca la soglia dello Studio Ovale per incontrare Donald Trump. A fare da cornice, l’anniversario evocato dalla stessa premier italiana come simbolo dell’inizio di un sodalizio storico tra il Vecchio Continente e le neonate Americhe. Ma se Colombo salpava verso terre inesplorate, qui si tenta una rotta inversa, e non senza turbolenze. Un viaggio, questo, meno geografico e più ideologico, in un mondo dove le capitali si sfiorano più su X (ex Twitter) che sulle mappe diplomatiche.

Trump: “Accordo commerciale al 100%”. Ma al 100% quando?

Uno dei punti principali del colloquio è stato quello dei dazi. La tensione commerciale tra Stati Uniti ed Europa è ben lontana dall’essere risolta. Trump, con il suo solito ottimismo da imprenditore in campagna elettorale, ha garantito che l’accordo si farà “al 100%”. Una dichiarazione che è sembrata più un annuncio da social che un impegno vincolante tra due potenze economiche. L’impressione, per molti osservatori, è che si tratti più di un auspicio utile a rassicurare i mercati che di un piano concreto.

Meloni, dal canto suo, ha mantenuto un profilo pragmatico. Ha evitato proclami, limitandosi a dichiarare che esiste “una volontà di dialogo” e che occorre “incontrarsi a metà strada”. Ma la strada appare ancora piuttosto dissestata: gli interessi agricoli europei restano sotto pressione, così come la produzione industriale, mentre gli Stati Uniti insistono sulla difesa del proprio manifatturiero. Più che una rotta comune, oggi si naviga a vista, ognuno con il proprio timone e poco desiderio di convergenza.

Immigrazione, muri e fentanyl: il triangolo delle emergenze

Altro punto nodale: l’immigrazione. Trump ha ribadito la sua linea dura, evocando ancora una volta la necessità di difendere i confini, costruire muri e stroncare il traffico di droga, fentanyl in primis. Meloni ha dimostrato un certo allineamento, almeno nelle dichiarazioni: la visione condivisa sembra essere quella di una difesa identitaria e di una gestione dei flussi meno ideologica, più pragmatica, meno vincolata agli slogan del “globalismo umanitario”.

Ma dietro le parole si nascondono dinamiche molto più complesse. L’Italia, infatti, è ancora immersa nelle trattative con la UE per un piano comune di redistribuzione dei migranti. Un piano che Trump guarda con sospetto e che considera parte del problema, non della soluzione. Meloni si muove così su un doppio binario: quello interno, dove vuole mostrare fermezza; e quello europeo, dove cerca alleanze. E Washington, da questo punto di vista, resta un alleato ambivalente: utile, ma imprevedibile.

La NATO e il conto da saldare: promesse da 2% del PIL

Il dossier difesa non poteva mancare: Trump ha alzato il sopracciglio sui “free-loaders” europei, ovvero gli alleati che, a suo dire, approfittano della protezione americana senza contribuire abbastanza alla spesa militare. Un refrain che il tycoon ripete da anni e che oggi trova un’eco nella decisione di Meloni di confermare l’impegno italiano ad aumentare il budget per la difesa fino al 2% del PIL.

Una promessa pesante, sia politicamente che economicamente. In Italia non mancano le voci critiche, che si chiedono se sia giusto aumentare le spese militari in un contesto economico ancora incerto. Ma per Meloni, questo è anche un modo per guadagnare credibilità internazionale. Trump, dal canto suo, ha lodato la premier definendola “una delle vere leader del mondo di oggi“. Complimento che suona bene nei titoli dei giornali, ma non cancella la diseguaglianza strutturale che ancora caratterizza la NATO. L’Alleanza atlantica sembra ancora un condominio dove l’inquilino americano pretende l’anticipo delle spese dagli europei.

“Free-loaders” o alleati strategici? La semantica della provocazione

Uno dei momenti più discussi dell’incontro è stato il riferimento, neanche troppo velato, al termine “free-loading Europeans“. Nonostante i tentativi di minimizzare la portata semantica dell’espressione, in molti l’hanno letta come l’ennesima provocazione trumpiana. Un’etichetta che, pur non pronunciando mai la parola “parassiti” perché il significato vero e proprio è “scrocconi”, suona comunque come un’accusa implicita di opportunismo.

Meloni, con abilità tutta diplomatica, ha evitato lo scontro diretto, preferendo riformulare il concetto in chiave costruttiva: l’Europa è un alleato strategico che sta facendo la sua parte. Ma il punto resta: l’asse USA-UE è fragile, appeso più agli umori dei leader che a strategie comuni di lungo periodo. E nel vocabolario geopolitico, le parole contano. A volte più dei trattati.

Un invito per Roma, ma l’Europa resta fuori dalla stanza

Alla fine dell’incontro, Meloni ha invitato ufficialmente Trump a visitare Roma. Un gesto simbolico che ha tutta l’aria di voler aprire un canale preferenziale con il futuro (possibile) inquilino della Casa Bianca. Trump ha accettato con entusiasmo, ma l’iniziativa solleva anche interrogativi: dove si colloca l’Unione Europea in questo dialogo? C’è spazio per una mediazione continentale o stiamo tornando a logiche bilaterali, dove ogni leader parla per sé?

Meloni cerca un ruolo da protagonista sullo scacchiere globale, ma la UE, ancora una volta, appare assente. Invece di parlare con una voce sola, l’Europa sussurra in molte lingue, mentre Washington ascolta solo chi parla forte. E Meloni, oggi, ha deciso di alzare il volume.

L’incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump si è svolto all’insegna del simbolismo e della comunicazione strategica. C’è stato il richiamo a Colombo, il riferimento all’identità occidentale, la promessa di accordi commerciali e il solito gioco di parole e provocazioni. Ma al netto degli annunci, resta la sensazione di un rapporto transatlantico più estetico che sostanziale.

Come nel 1492, anche oggi si cerca una rotta. Ma le navi non salpano più: si tweetta, si posta, si negozia su Zoom. E in mezzo, tra like e dazi, c’è un Mediterraneo che osserva. Con più domande che risposte.

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