Gli anticorpi diretti contro IFN di tipo I nel sangue portano a un maggior rischio per i pazienti. Lo dimostrerebbe una ricerca internazionale, con la collaborazione di due scienziate del Cnr-Igb di Napoli
Il virus SARS-Covid 2019 ha ancora diversi aspetti poco chiari, nonostante l’intero pianeta sia concentrato per una rapida scoperta di una cura definitiva e sicura. Tra le altre, una domanda forse ha trovato una soluzione, seppur non definitiva: perché la risposta individuale all’infezione da virus varia così tanto da persona a persona? Saperlo ci consentirebbe di capire chi è più vulnerabile. Prevenire è meglio che curare.
Dal Consiglio Nazionale delle Ricerche arriva qualche risposta. Due studi internazionali infatti, con la partecipazione di Francesca Fusco e Matilde Valeria Ursini dell’Istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” di Napoli (Cnr-Igb), sono stati pubblicati su ‘Science’ a fine settembre. Le ricerche sono state guidate da due importanti scienziati: Jean-Laurent Casanova (The Rockefeller University, USA e l’Istitute Imagine/Necker-Enfants malades, Parigi, Francia) e Helen Su (National Institute of Allergy and Infectious Diseases, USA).
Nel concreto la ricerca ha identificato cause genetiche e immunologiche, le quali spiegano il 15% delle forme gravi di Covid-19. I pazienti hanno in comune infatti un difetto nell’attività dell’Interferone di tipo I (INF-1). Questa è una molecola del sistema immunitario che ha un’attività antivirale molto potente. Come si spiega? A volte con anomalie genetiche (anche rare come l’Incontinentia Pigmenti) che riducono la produzione di questa molecola o, in alcuni casi, anticorpi autoimmuni che ne bloccano l’azione (fino all’11% nei casi gravi). “Queste varianti genetiche sono presenti anche negli adulti che non sono stati malati prima”, ha spiegato Fusco. “Indipendentemente dalla loro età, le persone con queste mutazioni sono maggiormente a rischio di sviluppare una forma molto grave di Covid. L’assunzione precoce di IFN di tipo 1 in questi pazienti potrebbe essere una via terapeutica: questi farmaci sono disponibili da oltre 30 anni e senza effetti collaterali evidenti se assunti per un breve periodo”.
Nello specifico la ricerca ha anche permessodi comprendere meglio l’incidenza della forma grave nelle categorie uomini e donne over 65. Indizi ancora legati all’Interferone 1. “Che si tratti di varianti genetiche che riducono la produzione di IFN di tipo I durante l’infezione o di anticorpi che li neutralizzano”, spiega Ursini, “questi deficit precedono l’infezione con il virus e spiegano la grave malattia. Quindi gli IFN-I sono cruciali nella risposta immunitaria contro il Covid-19”. I risultati sono stati preventivamente presentati anche al ‘COVID Human Genetic Effort’, progetto internazionale in corso con la cooperazione di oltre 50 centri di sequenziamento e centinaia di ospedali e centri di ricerca nel mondo.