Da giovedì 2 aprile, in edicola il volume a cura di Corrado Ocone e Marco Gervasoni dal titolo “Coronavirus. Fine della globalizzazione.” Un messaggio forte che fa riflettere sugli effetti devastanti che il Covid-19 avrà sul mondo post pandemia.
Abbiamo rivolto, quindi, alcune domane al prof. Corrado Ocone, filoso e saggista, per capire meglio quelli che, secondo l’autore, saranno gli scenari, globali, europei e nazionali, futuri.
Buongiorno Professore e grazie per questa intervista. Ritiene veramente che il Coronavirus porterà alla fine della globalizzazione?
Buongiorno e grazie a lei. Ritengo che più che la fine della globalizzazione, che possiamo definire come un evento, sarà la fine del globalismo, che è l’ideologia che ha accompagnato la globalizzazione. Questa ideologia è quella appartenuta all’elite dominante del pianeta, che era transnazionale, cosmopolitica e, soprattutto, ristretta. Persone di diverse nazionalità ma formate tutte negli stessi posti. Pensiamo, per esempio, alle grandi università americane o alle organizzazioni internazionali. Queste persone hanno costituito, per anni, la classe dirigente mondiale ed erano portatori dell’idea che si basava su due capisaldi: da una parte il liberismo finanziario portato all’estreme conseguenze mentre, da un punto di vista etico, si portava avanti una visione del mondo fondata sul “politicamente corretto”. Due idee che costituivano il modo di pensare di questa elite e che ha riscritto, anche con la complicità dei governi, l’organizzazione del Mondo seguendo un’ideologia, in pratica, progressista. Nel libro spiego che, a mio avviso, ci sono stati tre momenti della storia che hanno dato altrettanti grossi colpi a questa visione. Il primo è, sicuramente, l’attentato dell’11 settembre 2001, quando si è visto che una guerra combattuta in Asia può, in un secondo, essere trasportata a New York. Il secondo colpo è stato dato dalla grande recessione del 2007 – 2008. Il coronavirus rappresenta il terzo e ultimo colpo all’ideologia progressista. Questa, che ci aveva proclamato l’apertura totale di porti e confini, adesso ci dice che, non solo dobbiamo isolarci come stati nazione ma che, addirittura, ci dobbiamo isolare in casa. Paradossalmente, sono più sovranisti dei sovranisti.
Le Istituzioni europee hanno portato avanti politiche e posizioni che hanno fatto molto discutere. Lei come le giudica? Alcuni hanno detto che il Coronavirus segnerà la fine dell’Unione così come la conosciamo. Secondo lei?
Assolutamente, secondo me l’Unione Europea è già finita. Come organismo politico potrà durare altri tre, quattro o cinque anni, ma in sostanza è morta come idea. È finita perché si è passati in una fase dove i rapporti di forza tra i singoli stati contano sempre di più e non c’è più, neanche, un’ipocrisia di facciata che porti avanti la retorica dell’europeismo. Vediamo il Presidente della Commissione schierato al fianco di alcuni paesi e non di altri e la Presidente della BCE che fa una gaffe, che in realtà gaffe non era. Addirittura Conte che, all’improvviso, sembra essere diventato sovranista. E tutto questo avviene pubblicamente. Rivedo un po’ l’Unione Sovietica dell’ultimo periodo. C’è un sistema che sta implodendo. Debbo dirti, è un progetto che non può essere aggiustato ma che va rifatto da capo, se proprio si vuole proseguire su questa strada.
In uno scacchiere globale che vede lo strapotere di Cina e Stati Uniti, l’Italia che partita può giocare come stato nazione?
La storia non si annulla e i progetti non possono essere fatti a tavolino. Gli stati europei sono sempre stati profondamente diversi tra loro, ma accumunati dalla cultura occidentale. C’era unità nella diversità. A mio avviso si dovrebbe ripartire dal basso, costruire un sentimento comune e alleanze. Come giustamente sottolinei, la forza degli stati menzionati non può non essere considerata, mentre i piccoli stati europei rischiano di contare sempre di meno. L’Italia ha bisogno sicuramente di ricominciare a fare politica estera, cosa da troppo tempo trascurata ma fondamentale per curare gli interessi nazionali. Vanno create alleanze solide e stabili, senza fughe in avanti.
Un liberale come lei, come sta vivendo la privazione della libertà, a causa dell’emergenza Covid-19?
La vivo molto male, debbo confessare. Però è vero che la salute viene prima di tutto, perché senza la vita non ci può essere nemmeno la libertà. Quello che va sottolineato è che c’è una vera e propria falla nel nostro sistema costituzionale, messa in evidenza già dall’allora Presidente della Repubblica Cossiga. Né la Costituzione né le altre leggi dello Stato ci dicono chiaramente chi ha il comando in una situazione d’emergenza come quella che stiamo vivendo. Il potere, oggi, se lo è preso il Presidente del Consiglio, ma su una base costituzionale flebile. Vorrei dire, poi, un’ultima cosa. Non è vero che non è il momento delle polemiche. In un momento così grave c’è bisogno di un dibattito critico serio. La mancanza della coinvolgimento del Parlamento è, a mio avviso, grave. Oltretutto, c’è un problema politico. Il nostro governo è legittimo nella forma, ma non ha legittimità politica, e in questo paradosso muore l’autorevolezza dell’istituzione, che non ha credibilità.