John Ruskin scriveva che “i libri si dividono in due categorie: i libri per adesso e i libri per sempre”. Io credo che vi sia una terza opzione e che Ruskin non si offenderà se posizionerò il libro di Ada d’Adamo in questa.
“Come d’aria” è un libro da buttare via. Da mettere in quel ripiano alto della libreria, difficile da raggiungere ma anche da vedere. È un libro da celare o — se impossibilitati dal trovare un nascondiglio sicuro — da buttare.
Dal Premio Strega al burrone titolerebbero i giornali, tra lo stupore della gente e degli alpinisti che troverebbero così le 25.000 copie vendute in fondo a qualche strapiombo. La casa editrice Elliot si troverebbe costretta a rinunciare alla ristampa del libro – che aveva visto solo tanti rifiuti editoriali prima della fatidica pubblicazione – e chiedere scusa agli ambientalisti per la tanta carta gettata nella natura.
Solo così potremmo salvarci. Solo così riusciremo nuovamente a voltare le spalle. Come quando durante il Covid pensavamo alla fortuna di non essere vecchi o quando giornalmente occultiamo il vocabolario con quei brutti mali e bambini speciali.
Ecco perché il libro di Ada non può restare in casa con noi. Perché solo guardandolo diverrebbe il monito di chi – con le sue parole e le sue azioni – ha dimostrato la verità del dolore. Non riusciremmo più a dire che coraggio che hai a quei genitori con figli con sindrome di Down o a pensare al malato come una cosa altra, come una cosa lontana da noi normali.
Come d’aria è una spina nel fianco. Toglie il lieto fine dall’idea favolistica che abbiamo della vita. La stessa morte dell’autrice è un peso ulteriore alla grammatura di queste pagine, cosi vive, cosi dense.
Oloprosencefalia.
Tumore metastatico della mammella al quarto stadio.
Nelle prime due pagine, due diagnosi, due sentenze, due destini intrecciati. Le pagine che seguono non sono romanzate: c’è l’assenza dello Stato, la complicità di un sistema sanitario spesso non pronto, la Grande Fuga delle persone vicine e non, la nausea delle terapie e le urla incessanti. Non c’è esaltazione, pornografia del dolore, pietà o tantomeno autocommiserazione. C’è la Verità. Quella di Ada, di Daria, delle famiglie che riempiono corridoi d’ospedali e che vivono una vita altra.
Siamo così presi dai piccoli fastidi della giornata da credere che questi siano problemi reali al pari di una malattia. Leggere questo libro per una società come la nostra vuol dire confrontarsi con tutto ciò che di sbagliato abbiamo commesso. Tutte le volte che abbiamo distolto lo sguardo o dato per scontato. Ada è un treno di parole che non si arresta e scava dietro quel melanoma che abbiamo sempre avuto negli occhi, capace di offuscare e nascondere, di renderci miopi davanti al malato, di renderci ciechi alla vista di parole come l’aborto.
Così, mentre conduciamo una vita da ipovedenti (per scelta), arrivano le parole di Ada a mostrarci che il dolore, la morte, la malattia sono parte integrante della vita. Non è una colpa, ma dobbiamo arrenderci alla casualità che vuole che una sindrome che colpisce 1 su 10000 prenda proprio noi.
No. Lasciamo che la storia di Ada venga dimenticata. Lasciamo che Daria, la figlia su cui avrebbe voluto scegliere, venga scordata. Lasciamo svanire lo Strega della ballerina di Ortona. Perché questo memoir – come la stampa l’ha già indicizzato – ha la capacità di rendere tutto visibile.
Prima danzatrice, poi collaboratrice del Dipartimento di Musica e Spettacolo della Sapienza e infine insegnante all’Accademia di Belle Arti di Macerata, Ada è sempre stata – tenacemente – legata al movimento. Un amore per la disciplina, come un relevé che slancia il suo corpo nella direzione di un passo, un arabesque che muove l’aria, un plié dove tornare.
Nell’immortalità di questi movimenti così vivi bastano due diagnosi a romperne gli schemi e far sì che proprio il movimento diventi astratto, disarmonioso e infine stanco. Una bellicosità tale da far scomparire i contorni del futuro per concentrarsi su un drammatico presente fatto di tanta quotidiana routine. Esami e visite si alternano a piccoli momenti di dolcezza che rapiscono dalla freddezza del mondo che, indifferente, osserva le sue figlie così piene in dei corpi così vuoti.
Ada vince il Premio Strega. Non è qui per vedere il Premio o i migliaia di commenti che si affollano tra le recensioni di un libro difficile da categorizzare. Le librerie si svuotano mentre i premi si moltiplicano. Alla sua memoria ne è stato istituito uno nell’ambito della Festa della Danza di Roma.
Quale sarà il futuro di questo libro nessuno può dirlo, perché il problema con i libri da buttare via è che una volta letti, non se ne vanno mai via totalmente. Un po’ rimangono con noi, un po’ come le persone.
Un po’ come Ada.
Ho comprato il libro in una libreria di Caviola di Falcade. L’ho scelto solo.perché era + sottile degli altri, ho letto solo alcune pagine e in parte condivido ciò che ha scritto il commentatore. Mi piace scrivere e molto difficilmente cado nella descrizione del dolore o di cose.affini.
Il libro che Ada ha voluto scrivere è un capolavoro.
La società attuale dovrebbe riflettere sul contenuto e e sulla denuncia che Ada scrive, perché la sua morte è dolorosa ma naturale, mentre il destino di Daria poteva essere diverso.
Gli italiani hanno un lungo percorso da fare, chiusi in preconcetti intoccabili.
Il libro di Ada vola alto nell’immensita’ dellUniverso
Io credo sia meglio leggere Breve come un sospiro, parlare del dolore rende subito ma non resta nulla e ciascuno di dolore ha il proprio, una lunga cartella clinica raccontata al terapeuta di turno, non è questo è l’universalità dell’amore che resta e che è così grande che il dolore sparisce e sembra banale.
Non ho letto il libro ma grazie per la recensione chiara ed esaustiva. Buon lavoro .
libro molto difficile da leggere é come un pugno nello stomaco perché ti porta dentro il vero dolore e ti rende partecipe al punto da non poterlo dimenticare mai più
Ti coinvolge e ti porta in un mondo dove non vorresti andare ma ormai è fatta sei li anche tu con loro e soffri, e ti struggi nella tenerezza che respiri, non puoi fare altro…o forse sì!
Un capolavoro. Straziante e coraggioso, narra la disabilità totale d’una figlia e la malattia terminale d’una madre che aveva dedicato la vita alla danza classica. All’armonia del corpo che interpreta la musica più bella, deve contrapporre la disabilità totale della figlia e il declino fisico dovuto alla sua devastante malattia. Un libro intenso che narra la fatica di vivere in un contesto familiare difficile.