E alla fine della festa, l’arrogante è l’avvocato del popolo Giuseppe Conte. Che pensava di depredare il Movimento al padre “padrone” Beppe Grillo. Chi lo avrebbe mai detto. Guidato dall’infallibile Rocco Casalino, esperto di comunicazione – sì, ma non politica – Giuseppe Conte sceglie di presentare il nuovo Statuto del Movimento in pompa magna. Nella Sala del Tempio di Adriano, della Camera di Commercio di Roma, lo scorso 28 giugno, Conte parla a un parterre di giornalisti affamati di gossip in salsa pentastellata. E non solo. Al momento delle domande, con un sorrisino un po’ asimmetrico – e leggermente inquietante, punta il dito prima su uno e poi sull’altro, diventando, almeno per due ore, il padrone della Sala. E, con la stessa sfacciataggine ammonisce l’elevato di non essere il padre padrone – da che pulpito, ma il papà altruista che deve lasciar andare il Movimento, maturo e non più bisognoso del comico genovese.
Uno scontro di potere, tra due teste calde. Il primo vero scontro di potere interno al Movimento, in piena crisi di identità. Il garante, Beppe Grillo, e l’avvocato, Giuseppe Conte, sono impegnati in un duello ancora aperto e da cui nessuno dei due uscirà illeso. Una collisione che potrebbe distruggere la tela, già sfilacciata, del Movimento. Dopo la conferenza stampa dal carattere divino dell’avvocato del popolo, Beppe Grillo ci pensa un attimo, ma poi risponde a tono. Conte non ha “né visione politica, né capacità manageriali” e per questo non può essere il capitano di una nave che sta affondando. Parole dure che scompigliano la calma apparente dell’intestino del Movimento. Giorni di fibrillazione tra i big: al via la mediazione tra il comitato dei sette saggi prescelti dall’elevato e Giuseppe Conte, che non contempla alcuna retromarcia sui poteri della nuova figura di leader del M5s. Un leader con pieni poteri – per riprendere una citazione di memoria salviniana – decisionali sulla linea politica del Movimento. E questo basta a Grillo per fargli fumare le orecchie.
E, come se non bastasse, adesso, la tenuta del Movimento è appesa a un filo dopo il superamento della riforma Bonafede, con l’approvazione all’unanimità in CdM della riforma della giustizia penale del ministro Cartabia dello scorso 8 luglio, che va verso il ripristino, parziale, della prescrizione. L’ennesima sconfitta dei pentastellati, che hanno ormai perso quasi tutte le gambe del tavolo. Ora, il tavolo si regge sull’unica gamba, seppur traballante, del reddito di cittadinanza, messo in discussione dai partiti di maggioranza del Governo Draghi e per cui Renzi già pensa alla raccolta firme per un referendum abrogativo.
Un voto all’unanimità con effetti indesiderati. Come un forte mal di pancia all’interno del Movimento, dove i dissensi alla riforma Cartabia non si sono affatto placati. Causa le crescenti tensioni, ieri si è svolta l’assemblea congiunta dei gruppi M5s di Camera e Senato sulla riforma della giustizia. E non solo. Domenica anche la resa dei conti tra l’avvocato e il garante del Movimento: se sabato sera la febbre era salita, ieri i toni deliranti sono scomparsi. Non più fulmini e saette; adesso il cielo è sereno e le stelle visibili. Nell’olimpo pentastellato regna la pace – così pare. In una nota congiunta letta ai devoti parlamentari dall’ormai ex reggente Vito Crimi, puntano ad una “chiara e legittimata leadership”. Ma la partita non è finita. Nei prossimi giorni aspettiamo le procedure di indizione delle votazioni per il nuovo Statuto. E, se Matteo Renzi oggi si è goduto la doppietta di Wimbledon e Wembley, da lunedì potrà mettersi comodo per una partita squisitamente politica.