“C’era una volta Cavour” di Giuliano Amato

Un recente evento editoriale che merita di essere conosciuto e ricordato è il libro di Giuliano Amato “C’era una volta Cavour – La potenza della grande politica”, ed Il Mulino, 2023.

Il libro si apre con un’articolata e non breve introduzione in cui Amato

sostiene, in estrema sintesi, che l’Italia, nell’arco di un secolo e mezzo dopo la sua unificazione, abbia avuto un solo statista la cui grandezza sia paragonabile a quella di Camillo Benso conte di Cavour, vale a dire Alcide De Gasperi. Persino a Giovanni Giolitti l’autore nega, un po’ ingenerosamente, di attribuire lo stesso merito, soprattutto a causa della debolezza della sua azione politica nell’ultimo periodo, quello successivo alla prima guerra mondiale.

Il cuore del libro è costituito dalla trascrizione integrale, desunta dagli atti parlamentari – e quindi comprensiva delle interruzioni e di taluni commenti di deputati e senatori – di dieci discorsi pronunciati da Cavour davanti alle Camere fra il 1850 e il 1861.

Gli interventi spaziano da questioni economiche alla libertà di stampa, dall’introduzione del matrimonio civile all’intervento piemontese nella guerra di Crimea, dai rapporti con le altre potenze europee alla questione romana, dalla cessione di Nizza e Savoia alla Francia all’annessione al Piemonte delle province dell’Italia centrale.

Senza entrare nel dettaglio dei singoli discorsi è opportuno rammentare i principi generali cui gli stessi sono costantemente ispirati.

In politica interna Cavour mantiene costante fermezza nella difesa della costituzione (lo Statuto Albertino) e del modello da essa disegnato: quello di una democrazia parlamentare rappresentativa che non deve cedere né a pericolose svolte conservatrici né a velleitarie tentazioni rivoluzionarie.

In economia vi è costante aspirazione all’ammodernamento sia dell’agricoltura che dell’industria e all’eliminazione dei vincoli protezionistici utili alla salvaguardia di interessi corporativi, ma tali da impedire l’allargamento verso l’estero degli interessi del piccolo Piemonte.

In politica estera Cavour mostra di mantenere salde le alleanze con l’Inghilterra e con la Francia, i due Paesi che nell’Europa dell’epoca avevano abbandonato la via dell’assolutismo in favore della libertà e del progresso.

Sulla cessione di Nizza e Savoia alla Francia il conte compie un autentico capolavoro teso a sostenere la necessità di una decisione, per tutti e per lui per primo dolorosa e impopolare, finalizzata all’acquisizione di più importanti vantaggi futuri.

Quanto alla questione romana i discorsi riportati esplicitano appieno il principio che nei nostri ricordi scolastici è sintetizzato dall’espressione “Libera Chiesa in libero Stato”. Il discorso di Cavour si articola in tre successivi passaggi. Il primo: annettere Roma all’Italia e farne la sua capitale è aspirazione condivisa da tutti gli italiani e per questo costituisce un obiettivo irrinunciabile. Il secondo: la prudenza impone di attendere il conseguimento di quell’obiettivo fino a quando le condizioni politiche internazionali non lo consentiranno. Agire subito costituirebbe un’avventura suicida tale da esporre l’Italia a pesanti reazioni da parte delle potenze cattoliche europee. Il terzo (probabilmente il più importante): l’assicurazione rivolta al mondo cattolico che la perdita del potere temporale del Papa, accompagnata da concrete garanzie di libertà e di rispetto, lungi dal nuocere all’esercizio del potere spirituale del pontefice ne rafforzerebbe l’autorità e il prestigio. Di straordinari acume e lungimiranza appare il passaggio in cui Cavour esprime la sua opinione negativa sulla commistione fra potere religioso e potere civile. E quanto mai risulta attuale quel passaggio se pensiamo ai drammi anche di carattere umanitario che oggi si consumano laddove quella commistione esiste come, ad esempio, nelle attuali repubbliche islamiche.

Concludendo, emerge dalle parole dello stesso Cavour, più che da quelle di Amato, il ritratto di un grande statista, coraggioso e prudente al contempo, sempre pragmatico e sempre illuminato da un proposito che poteva apparire folle come quello dell’unificazione nazionale. Uno statista venuto a mancare troppo presto dopo avere conseguito quello straordinario obiettivo.

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