Nella mia vita di spettatrice cinematografica mi è capitato poche volte quello che è successo lo scorso sabato sera, ovvero di dover prendere il biglietto per lo spettacolo successivo perché in quello precedente tutti i posti sono stati presi. Mi è capitato poco e mai per film italiani. Ieri, invece, mi è capitato con C’è ancora domani di Paola Cortellesi che, anche per questo motivo (e per altri che spiegherò più avanti), può essere considerato un film di risveglio.
In primo luogo, per la ricezione: il primo grande merito di C’è ancora domani è di aver risvegliato il desiderio degli italiani di andare al cinema, da qualche anno spesso sonnecchiante (il film risulta infatti essere il primo incasso italiano dall’inizio della pandemia). Il pubblico di sabato, invece, nonostante l’ora tarda, era tutt’altro che addormentato e lo animava una forte partecipazione emotiva: le risate che scrociavano dopo le battute comiche avevano la stessa intensità del silenzio che seguiva le scene più dolorose.
C’è ancora domani è la storia di Delia, «una cenerentola di Testaccio» (come l’ha definita la stessa Paola Cortellesi, che oltre a girare il film ne interpreta anche la protagonista): in effetti, la prima scena del film, quella appunto del risveglio di Delia, ricorda da vicino molti fotogrammi del film d’animazione di Walt Disney, a cominciare dai particolari legati alla ritualità del mattino come la presenza di un topolino sotto il letto, del lavabo per le mani, del separè per vestirsi, del gesto di mettersi il grembiule e di raccogliere i capelli per iniziare l’ennesima giornata di faccende domestiche. Il principe azzurro è però sostituito da Ivano (interpretato magistralmente da Valerio Mastandrea), un marito violento e dalla mentalità ottusa, che non perde occasione di umiliare la moglie Delia a suon di insulti e percosse. A questo proposito, penso che la trovata della regista di trasformare una scena di violenza domestica in una danza in cui i corpi di moglie e marito si muovono a tempo di musica e di dolore non ne sminuisca l’impatto, ma anzi lo amplifichi, grazie a un effetto di straniamento: sarebbe meno assurdo che moglie e marito si mettessero a ballare, come accadrebbe in un musical e come accade, appunto, in Cenerentola, che assistere a una scena di violenza così bestiale di un “uomo” nei confronti della donna che ha sposato e verso cui dovrebbe provare rispetto e amore.
C’è ancora domani non è una fiaba anche perché ad essere raccontata è una realtà, anzi, una sintesi delle realtà vissute dalle donne italiane nel dopoguerra: un’amara mescolanza di povertà, frustrazione e incertezza, che Paola Cortellesi però sceglie di diluire con battute collocate sempre al momento giusto, che hanno il potere di stemperare la tensione, in un gioco di equilibri tonali in cui il drammatico e il comico risultano sempre sapientemente calibrati, senza superare i rispettivi confini.
C’è ancora domani non è una fiaba perché non si conclude con un lieto fine, o almeno non nel senso classico del termine: Delia non scappa a Milano con la sua antica fiamma, come alcuni indizi distribuiti qui e là nella sceneggiatura potevano far supporre, e non spariscono magicamente le piccole umiliazioni quotidiane che deve subire per continuare a mettere il cibo sulla tavola. Tuttavia, se lo si legge nell’ottica del risveglio, Paola Cortellesi non poteva concepire finale più lieto: Delia, una mattina, non prepara la colazione come ad ogni suo risveglio, ma, con indosso la camicia che si è cucita per l’occasione, prende finalmente coraggio e fugge di casa. È una fuga temporanea, come gli spettatori si accorgeranno poco dopo, ma fondamentale: la corsa della donna verso il suo vero risveglio, personale e sociale, è la scena più commuovente del film perché getta finalmente una luce di riscatto sulla protagonista. Tutto converge verso il finale, in cui una folla di donne, desiderose di poter esprimere per la prima volta il proprio voto politico, corrono alle urne, e Delia è con loro.
Ad abbracciarla con lo sguardo, non più di vergogna ma finalmente di fierezza, è la figlia Marcella (la giovane Romana Maggiora Vergano), che la madre non solo ha salvato da un matrimonio che si prospettava come l’inquietante replica del proprio, ma a cui ha fatto un regalo molto prezioso: i soldi per poter finalmente andare a scuola. Quelle ottomila lire che Delia aveva inizialmente pensato di usare per il vestito da sposa di Marcella diventano un investimento per la sua istruzione.
C’è ancora domani non è una fiaba perché la donna non viene salvata dall’uomo, ma, al contrario, deve costruire la propria salvezza nonostante l’uomo, a suo dispetto e a sua insaputa. Alla figlia la madre offre in dono qualcosa che deve venire prima del più bell’abito da sposa: il mezzo per conquistare il proprio risveglio.