Un padre della Patria… quasi dimenticato
Cavour è stato molte cose, ma spesso pare che non venga ricordato nella stessa maniera degli altri grandi statisti. Perlomeno non da tutti. Spadolini sosteneva che esiste uno strano meccanismo di oscuramento relativo alla memoria del Conte. Stiamo infatti parlando di un eroe che è sì celebre in quanto incarnazione di un simbolo di patriottismo positivo, ma che proprio per questo risulta anche limitato.
Insomma, Cavour sarebbe una sorta di eroe hegeliano usato dalla Storia per raggiungere i propri fini; per poi cadere in uno strato più recondito della memoria. Sarà che noi italiani siamo assai strani quando si tratta di ricordare, certamente più inclini ad elevare come simbolo nazionale figure dalla dubbia importanza storica. Ovviamente tutti sanno chi sia stato Cavour, o comunque ne hanno una minima idea di fondo. Il problema è che in molti non hanno modo di comprendere la sua rilevanza storica ed attuale né tantomeno l’eredità. Forse perché, sebbene conseguita l’unità politica, l’identità culturale, sociale e storica del nostro Paese è lungi dal divenire univoca.
Bisogna ancora fare gli italiani? Probabilmente è vero; e ripartire dalle figure simboliche più importanti potrebbe essere d’aiuto. Soprattutto quando si parla di qualcuno che è stato capace non solo di fare la storia, ma anche di creare innovazione e ragionare con modernità disinvolta.
Una figura poliedrica
Prima di affrontare le vicende squisitamente politiche che riguardano Cavour, potrebbe essere conveniente descrivere sia il suo lato imprenditoriale sia i suoi interessi di giornalista e scienziato economico. Questo ci consente di allargare la nostra comprensione del personaggio, che di certo ha dimostrato di avere un grande acume politico; ma che è stato in grado di raggiungere risultati importanti anche grazie alle sue esperienze passate assai diversificate.
Nel descrivere gli interessi di Cavour per il mondo economico dobbiamo innanzitutto comprendere che questa figura, sebbene influenzata dall’essenza aristocratica in cui si era formata, possedeva una natura assai liberale e riformista; interessata al progresso e allo sviluppo delle idee di libertà politica ed economica.
Come il padre, anche Camillo ha iniziato a sperimentare la vita pubblica cercando di costruire affari e operazioni commerciali, soprattutto dopo aver capito che una carriera militare non sarebbe stata molto adatta per le sue inclinazioni.
Ovviamente lo spazio di un solo articolo non basta a coprire tutta l’esperienza del nostro personaggio. Ma in realtà basta solo qualche accenno per individuarne i caratteri di intenso attivismo e di costante curiosità per ogni tipo di avanzamento scientifico e politico. Imprenditore nonché innovatore dell’industria agricola, si dedicò alla sperimentazione del guano e delle nuove tecnologie applicate alle colture nell’amata tenuta di Leri. Fu anche attivo nelle assicurazioni e nel settore bancario; giocando peraltro un ruolo chiave nella creazione della Banca Nazionale degli Stati Sardi, punto di origine dell’odierna Banca d’Italia, nella stipulazione di trattati commerciali internazionali e nel formulare l’operazione di prestito che salvò il Piemonte dal baratro finanziario.
Ma oltre al lato operativo, Cavour seppe cimentarsi nel campo dell’indagine e nella divulgazione scientifica. Divenne presto uno dei massimi esperti di economia del Regno di Sardegna; tanto da essere chiamato, ancora giovane, dall’ambasciatore inglese a Torino per redigere un rapporto sulla condizione dei lavoratori da inserire in una più vasta raccolta di letteratura scientifica a supporto del Governo inglese. Scrisse anche molti articoli, nei quali non mancava di sottolineare i vantaggi del libero scambio e del progresso tecnologico. Cavour fu infatti un assiduo sostenitore delle ferrovie, nelle quali individuava il mezzo mediante il quale raggiungere la modernità. Quello che oggi può sfuggire è che al tempo, date le condizioni socio-politiche, scrivere di questi argomenti poteva risultare quantomeno sospetto. Non a caso un articolo in francese, che Cavour voleva pubblicare su un giornale svizzero, venne definito dall’editore uno “degli scritti più rivoluzionari mai letti”. Eppure parlava solo di libero commercio e di ferrovie anche se non del Regno di Sardegna, bensì dell’Italia come soggetto unico.
Il Connubio, ovvero temere i rossi e i neri in egual misura
La mossa politica che ha forse consacrato maggiormente Cavour in ottica storica è quella del cosiddetto Connubio. Dopo aver ricoperto per qualche tempo l’incarico di Ministro del commercio, riuscendo in quel frangente a firmare moltissimi trattati commerciali in un’epoca di forti dazi, per Cavour venne il momento di prendere le redini del potere. Sfruttando il dibattito legato ad una legge sulla stampa egli fece emergere l’accordo segreto, elaborato grazie alla mediazione di Michelangelo Castelli e Domenico Buffa, con Urbano Rattazzi, esponente della sinistra moderata. In questo modo, oltre che mettere in difficoltà il Presidente D’Azeglio, egli riuscì ad isolare la sinistra più radicale e i conservatori reazionari.
Questo accordo venne appunto ribattezzato “Connubio”. I suoi effetti non si manifestarono subitamente, poiché all’inizio Cavour dovette uscire dal governo. Ma, alla fine, il Conte ottenne la carica tanto ambita e Rattazzi divenne Presidente della Camera.
La ricerca del compromesso e la volontà di unire i moderati contro gli eccessi dei radicali “rossi” e dei reazionari “neri” rappresentò una strategia politica molto moderna per quel contesto politico, dove il rischio di generare governi assai conservatori e illiberali a fini repressivi era sempre dietro l’angolo.
Cavour riuscì insomma a garantirsi il controllo del potere politico costruendo una solida maggioranza parlamentare; grazie alla quale il suo apporto, e soprattutto la sua presenza al governo, si dipinsero come indispensabili. Questo perché egli seppe accettare e comprendere, al contrario di molti politici del suo tempo, il ruolo e le potenzialità del parlamento nonché la necessità di ricercare il compromesso in luogo delle lotte velleitarie. Oltre a questo bisogna anche ricordare che il rapporto col Re Vittorio Emanuele, sebbene non basato su reciproca simpatia, seppe contribuire alla riuscita politica delle mosse cavouriane; vuoi perché il monarca aveva anch’egli compreso che senza parlamento non vi sarebbe più stata una monarchia e vuoi perché l’acume di Cavour, politico dal respiro più internazionale che italiano, non trovava eguali nella classe politica subalpina.
La lontana Crimea
Un altro aspetto molto interessante di Cavour riguarda il suo atteggiamento in politica estera. Esempio principale di questo atteggiamento è la mossa che portò il Regno sabaudo in guerra al fianco della coalizione anglo-francese e dei turchi ottomani contro la Russia zarista. Si combatteva nella penisola di Crimea bagnata dal mar Nero, lo stesso lembo di terra che a distanza di secoli è ancora capace di originare conflittualità in Europa. Cavour intuisce il gioco dei posizionamenti collegati alla guerra, con l’Austria neutrale e incapace di determinare una posizione di sostegno verso Londra e Parigi e un Regno delle Due Sicilie imbarazzato a causa delle sue simpatie per la terra degli zar. Cavour, in ottimi rapporti con la classe politica inglese, riesce a far invitare il Piemonte nella coalizione. L’occasione viene sfruttata, e alla fine il governo di Torino riuscirà ad elevare sui tavoli delle trattative a Parigi la questione dell’unificazione.
Sembra quasi di intravedere le stesse meccaniche dei conflitti di oggi, ma in ogni caso resta il fatto che Cavour ha saputo farsi interprete di un realismo applicato alla politica internazionale senza il quale non gli sarebbe stato possibile sostenere concretamente gli obiettivi e le istanze unitarie.
Perché combattere in una terra così lontana? Perché quella guerra ci dovrebbe riguardare? Domande di ieri e di oggi, valori di ieri e di oggi. Tutto dipende da come si vuole raggiungere un obiettivo, e da cosa si è disposti a sacrificare. Se in quel tempo fosse prevalsa la concezione di Mazzini e di Valerio ci sarebbe stato sicuramente un dibattito e uno sforzo perlomeno intellettuale verso l’unione politica dell’Italia. Tuttavia sarebbe mancato il raggiungimento dell’obiettivo a livello pratico, perché è innegabile che gli altri attori internazionali e altri tipi di dinamiche giocano necessariamente un ruolo in questi processi. Ignorarle avrebbe significato, e significa tuttora, cercare uno scontro improduttivo con la realtà in luogo di realizzazioni obiettive.
Ecco la forza di Cavour: cercare di perseguire obiettivi ragionevoli con la consapevolezza delle potenzialità e dei limiti insiti nella propria posizione internazionale.
Unire l’Italia
Naturalmente è più facile e naturale ricordare Cavour come lo statista che ha portato alla realizzazione dell’Unità. Eppure, quando si discutevano appunto le condizioni politiche del nuovo Stato, egli non trovò solo amici, ma anche molti avversari.
Lungo la strada unitaria v’erano infatti diversi ostacoli da superare, proprio in virtù delle condizioni e delle dinamiche internazionali che già prima richiamavamo. L’alleanza con la Francia di Napoleone III, stipulata con le clausole di Plombières, aveva assunto un carattere fondamentale nel confronto tra Piemonte e Austria, ma aveva comportato anche un prezzo abbastanza pesante da pagare.
Il Parlamento sabaudo dovette infatti votare la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia nel quadro degli accordi di alleanza che erano stati formulati. Cavour venne investito dal risentimento di una parte della classe politica e militare e anche di alcune figure di spicco, come Garibaldi, che ritenevano la cessione un grave affronto all’onore dell’Italia. Purtroppo il prezzo dovette essere pagato, ma bisogna sempre ricordare che si trattava di fare l’Italia; ovvero il sogno ispiratore delle generazioni di quel periodo, oggi forse paragonabile alle idee sugli Stati Uniti d’Europa. Nessuno sapeva bene come fare l’Italia nel concreto, ed è per questo che un compromesso è forse sembrato “poco onorevole”. Ma lo stesso Cavour riteneva la possibilità di unificare la penisola “una corbelleria” solo qualche anno prima, non perché non ci credesse ma perché mancavano le condizioni.
Quelle stesse condizioni si verificarono improvvisamente grazie a Garibaldi e, ancora una volta, a causa del contesto internazionale. È ben noto che il rapporto tra Cavour e Garibaldi non fosse affatto florido; però, da una prospettiva fattuale, il primo non ostacolò mai il secondo. Semmai fece finta per salvare l’immagine internazionale e osservare l’evolversi della situazione. Alcuni dicono che in realtà tutto si deve alle navi inglesi al largo della Sicilia mentre sbarcavano i garibaldini. Qualcuno potrebbe obiettare che la capacità di Cavour di attirarsi la simpatia di Londra e di sfruttarla contro i propri avversari abbia trovato manifestazione anche nella presenza di quelle navi. In ogni caso tutti noi conosciamo il finale della storia; ma in pochi ricordano l’acume di un Cavour che è riuscito ad elevare un piccolo Stato italiano a facitore di un’impresa politica e risorgimentale dalla fama secolare.
Eredità liberale, Italia liberale?
Per quelle che sono le vicende sinora narrate, appare chiaro che l’eredità di Cavour si distingue per la sua matrice marcatamente liberale. Come già si ricordava, egli fu uno statista dallo sguardo più europeo ed internazionale che meramente italiano; e forse è proprio per questo che risultò meno capito.
Se l’identificazione delle cause risorgimentali risulta in qualche modo più automatica con figure come Garibaldi o Mazzini non è affatto un caso. Alcuni studiosi hanno sottolineato l’essenza necessaria, ma non permanente, di Cavour nel portato politico risorgimentale. Un eroe di cui la Storia usufruisce per realizzare i suoi fini e a cui rinuncia quando non è più necessario. Quello che si può dire è che, accanto alla rilevanza squisitamente storica del Cavour unificatore, manca una maggiore insistenza sul lascito politico del Cavour politico e pensatore.
Provare a tracciare gli orizzonti di questo lascito è certamente un compito ben complesso e non adatto al tipo di scritto che qui si propone. Sicuramente possiamo coglierne gli elementi di fondo, asserendo che l’azione di Cavour denota un personaggio politico che ha saputo farsi campione di una stagione di riformismo liberale del tutto anticipatoria per quella che era la situazione socio-politica e culturale a lui contemporanea. La morte precoce di Cavour, avvenuta poco dopo il compimento dell’unificazione, ha certamente lasciato un vuoto nella classe politica post-unitaria che si era formata nel sogno risorgimentale senza orizzonti di pragmatismo riformista. Che si debba al respiro europeo e meno italiano dello statista? Probabile, ma di certo anche alla mancanza di capacità e competenze proprie dell’uomo politico formatosi come affarista, scienziato economico e giornalista. Un osservatore attento della realtà circostante; abile nell’intuire i problemi e nel cercare per essi delle risoluzioni.
Cosa sarebbe stata l’Italia con un Cavour ancora in vita nei suoi primi anni unitari nessuno può dirlo. Tuttavia, anche qui, il regno delle intuizioni acquisisce molta potenza; e convoglia un’immagine di attivismo e di riformismo che sicuramente sarebbe stata perpetuata. Un politico che nei suoi anni al Ministero e alla Presidenza incrementa sensibilmente la produttività del porto di Genova, che liberalizza i commerci, che si insinua nelle vicende internazionali come un protagonista e non come un attore irrilevante. Ecco cos’era Cavour. Un politico e un osservatore che, quando in Francia arriva il colpo di stato di Napoleone III, afferma che “la paura del socialismo vince nei francesi l’amore per la libertà”; anticipando uno dei concetti su cui si baseranno le future dittature totalitarie. L’Italia ha avuto il suo padre politico di riferimento, ma non ha saputo trarre i suoi insegnamenti più grandi: la ricerca dell’obiettivo realista, il compromesso come arma di dominio parlamentare, la logica delle alleanze giuste, il libero mercato per un paese geograficamente centrale. Riscoprire Cavour significa dunque guardare ad un tratto della nostra identità che forse non conosciamo o che forse non ci piace, ma che potrebbe sicuramente arricchire il nostro bagaglio di esperienze per affrontare in modo migliore il domani in modo critico e costruttivo. In questo senso potrebbe essere bello concludere pensando all’unità italiana di ieri e alla sempre più intensa unione dell’Europa oggi; un’Europa che, sempre ricordando Spadolini, si può definire come un’intuizione dello spirito moderno.