Carriere stroncate

La nostra Italia ha sfornato dei capolavori nel mondo dello Sport. Dalla A alla Z. Ma dobbiamo renderci conto che alcuni di questi atleti sono caduti nel baratro per sospette prove antidoping che poi si sono rivelate false e prive di fondamento.

Stroncando, di netto, carriere, famiglie e vite. Facendo prendere decisioni non etiche ai protagonisti che hanno dedicato anima, corpo, sudore e sangue per una determinata disciplina.

Uno esempio di quanto affermato fu Marco Pantani, detto “Il Pirata”.

Ciclista di fama mondiale (per conoscerlo meglio, consiglio la visione del film su Amazon Prime “Il Caso Pantani”) caduto nel tunnel della cocaina, probabile causa della sua morte – non ancora chiara – dopo essere risultato positivo al test antidoping a Madonna di Campiglio (ultima tappa del Giro d’Italia del ’99).

Nonostante ci siano prove dell’effettiva assenza di positività al doping e di sospette collusioni di alcuni membri dello staff dell’UCI, che praticò il test su Pantani, con la Camorra nel giro delle scommesse, la sua figura ad oggi viene tutt’ora infangata e non ancora riabilitata in pieno.

Un secondo esempio è Alex Schwarzer. Campione di marcia 50 Km., olimpionico a Pechino nel 2008, che venne squalificato per 8 anni alle soglie dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro nel 2016, perché recidivo.

Già alle Olimpiadi di Londra 2012 la positività al test antidoping lo rimandò prima del tempo  a casa. In questo caso, giustizia è stata fatta.

Nel 2021, dopo l’ingiusta seconda squalifica, Alex è stato riabilitato. Dopo ulteriori riesami, il Tribunale ha sentenziato che “il fatto non è stato commesso” dall’imputato.

Grazie al RIS di Parma e all’inchiesta del quotidiano la Repubblica, in laboratorio si è scoperto che il campione di urine del marciatore non era di origine umana.

C’è da considerare, data la recente sentenza, le polemiche del Wada (Agenzia Mondiale Antidoping) che, invece di esprimere vicinanza all’atleta, rincara la dose proclamandosi “inorridita” per i fatti. (Per dovere di cronaca bisogna evidenziare che nei Giochi Olimpici di Londra nel 2012, l’atleta risultò positivo all’anti-doping, venne squalificato e pagò il suo debito con la giustizia.)

A questo punto mi chiedo cosa sarebbe successo se la giustizia avesse funzionato, a suo tempo, per Pantani… II Pirata sarebbe ancora tra noi?

Il sistema evidentemente è da rivedere, perché si sta trattando di persone che, oltre ad essere atleti, hanno dedicato tutto alla loro professione. E va rimarcato che prima di tutto sono persone, con tutte le loro fragilità. Quello che è successo a Pantani è l’emblema, se non il vessillo, a cui enti certificanti come l’Antidoping si dovrebbero rifare per evitare gli sbagli passati.

Il concetto di legalità è sacro, quindi collusioni di qualsiasi tipo nel processo di indagini non sono neanche lontanamente contemplate.

Concludo ricordando che, visto che siamo in un Paese garantista, dovremmo sempre tenere a mente che dietro ogni atleta c’è una persona che va tutelata e protetta, soprattutto quando può ragionevolmente essere considerata vittima di un errore. In questo caso andrebbe concesso almeno il beneficio del dubbio.

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