“I funzionari, impiegati, agenti civili e militari suddetti, sono tenuti a dichiarare se appartennero o appartengano, anche in qualità di semplici soci ad Associazioni, Enti ed Istituti di qualunque specie”. No, non stiamo leggendo il disposto della legge regionale 18/2018, che da qui a poche settimane obbligherà deputati e assessori regionali, sindaci e consiglieri comunali siciliani a dichiarare la loro appartenenza o non appartenenza a logge massoniche. Quelle citate poc’anzi sono poche righe della legge 26 Novembre 1925 n. 2029 – titolata “Regolarizzazione delle attività delle Associazioni” con uno di quegli eufemismi di cui solo la burocrazia di regime può esser capace – una disposizione con cui, durante il ventennio, si pose di fatto al bando la massoneria in Italia.
Ci perdonerà il primo firmatario della nuova legge “sgama-massoni”, il presidente della commissione regionale antimafia Claudio Fava, per il paragone volutamente provocatorio, ma ogniqualvolta sentiamo parlare di elenchi, autodichiarazioni, liste di affiliati, sembra di trovarci davanti ad una reliquia difficile da relegare ad un passato in cui la libertà associativa non era data per scontata.
La “legge Fava” non è un unicum nel panorama legislativo italiano: già nel 1996, la regione Marche varò una legge che obbligava i candidati ad una carica pubblica a dichiarare la propria non appartenenza alla massoneria; nel 2001 venne il turno del Friuli Venezia Giulia, con una legge regionale che, similarmente, obbligava a dichiarare la propria appartenenza alla massoneria per poter accedere ad alcune cariche regionali. In entrambi i casi, la questione arrivò dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che censurò le disposizioni in quanto lesive, tra gli altri, dell’articolo 11 della CEDU, che garantisce la “libertà di riunione e di associazione”.
Oggi, in Sicilia, si è obbligati a mettere nero su bianco la propria “appartenenza a qualunque titolo ad associazioni massoniche o similari che creano vincoli gerarchici, solidaristici e di obbedienza, precisandone la denominazione, qualora tale condizione sussista”. Il mantra di queste settimane è e rimane “trasparenza”. I cittadini devono sapere: c’è chi, senza perdere tempo, chiede che la disposizione regionale venga recepita anche a livello comunale, come proposto a Siracusa, ad esempio. Insomma, pare ci sia grande fretta di compilare liste di eletti massoni, con i 5 Stelle in prima fila, probabilmente felici di veder applicato quel principio di discriminazione che ha permesso ai loro gruppi parlamentari ed al Governo da loro sostenuto di essere “massone-free”. Perché di discriminazione si tratta, ed è ipocrita dire il contrario. E’ ipocrita sostenere che una disposizione simile non contenga, sotteso ad essa, un giudizio di disvalore. Non ha senso chiedere solo a determinate categorie di cittadini di dichiarare la propria appartenenza solo a determinate categorie associative (e si che una volta la legge doveva essere “generale ed astratta”…) se non si ritiene che questa appartenenza possa essere un limite al corretto esercizio del proprio mandato. Un preconcetto, un pregiudizio, fondato su una cultura del sospetto dura a morire. E tradotto in disposizioni legislative che, non occorre essere dei fini esegeti del diritto per capirlo, dicono tutto e niente. Chi può definire un’associazione “massonica”, se non sé stessa? Cosa si intende per “vincoli gerarchici e solidaristici”? Se leggiamo questa espressione alla luce del senso comune e, soprattutto, del buonsenso (e ahimè le due cose non sempre vanno insieme) ci rendiamo conto che essa potrebbe riferirsi tanto ad una loggia massonica quanto ad un gruppo di scout.
“Una legge ingiusta, iniqua e discriminatoria”, che pertanto “va contrastata con tutti i mezzi possibili”: con queste parole Eleonora Lo Curto e Antonio Catalfamo, rispettivamente capigruppo dell’Udc e di Fratelli d’Italia all’Assemblea regionale siciliana, hanno stigmatizzato la disposizione, annunciando di aver già depositato una dichiarazione in cui rinunciano al termine di 45 giorni per effettuare la dichiarazione, e di aver dato mandato legale al fine di impugnare la cd. Legge Fava dinnanzi alla Corte Costituzionale al fine di ottenerne la pronuncia di incostituzionalità. Chissà come andrà a finire.
Il problema, forse, è che si sia voluto tradurre in dato normativo un pregiudizio. E non poteva che venir fuori una norma incomprensibile per significato ed anche per utilità pratica. Tutt’altro ha fatto il costituente, che nel secondo comma dell’articolo 18 ha cristallizzato un principio di civiltà in maniera chiara, bilanciata: “sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”. E non è il caso della massoneria regolare, quella che in Italia raccoglie migliaia e migliaia di donne ed uomini che, dopo il lavoro, anziché andare in chiesa, in moschea, al cinema o alla tanto famigerata bocciofila, si riuniscono in maniera riservata per discutere dell’uomo, della storia, della filosofia.
E’ curioso vedere gli stessi soggetti sbracciarsi per “difendere la Costituzione” per poi calpestare i suoi enunciati fondamentali, che probabilmente non hanno né letto, né compreso. Ed evitiamo, quando discutiamo di questa tematica, di tirare sempre in ballo la triste vicenda della P2. Perfino il Presidente Pertini ebbe a dire “quando io parlo della P2 non intendo coinvolgere la massoneria propriamente detta, con la sua tradizione storica».
Il libero pensiero, la discussione, la crescita degli individui e il fatto che essi possano liberamente esprimere la propria personalità sono il sale della democrazia. Ed è assurdo ritenere che una società che si fonda proprio su questi valori possa essere un’alterazione del gioco democratico. E’ assurdo pensare che il massone si ritenga, proprio lui, al di sopra della legge, quando il patriottismo è uno dei suoi valori cardine. Il problema forse, è che perfino il patriottismo è diventato inutile, superfluo, superato. Meglio essere “sovranisti”, attaccarsi ad un leader, e non ad un’idea. E trovare sempre un nuovo nemico, un nuovo sospetto, un nuovo “altro” da abbattere.