In partnership con MasiraX
Il 7 marzo si è tenuto un evento storico a Washington: il primo White House Digital Asset Summit. Alla tavola rotonda ha partecipato la crème de la crème del settore criptovalutario, da Paolo Ardoino di Tether a Michael Saylor di Strategy.
Uno dei risultati più importanti del vertice, organizzato per compiere la promessa fatta da Donald Trump alla crypto-community di fare dell’America “la superpotenza del Bitcoin”, è stato il via libera definitivo alla costruzione di una riserva strategica di bitcoin (SBR, Strategic Bitcoin Reserve). L’inizio ufficiale della Bitcoin Race. L’inizio ufficiale, dopo una lunga fase di riscaldamento, della Bitcoin Cold War.
Si scrive SBR, si legge…
Mettendo la firma all’ordine esecutivo sullo Stabilimento della Riserva Strategica di Bitcoin e la Scorta di Asset Digitali degli Stati Uniti (Establishment of the Strategic Bitcoin Reserve and the United States Digital Asset Stockpile), in realtà annunciato – ma non siglato – al White House Digital Asset Summit, Trump ha reso gli Stati Uniti la prima grande potenza con una scorta statale di BTC.
Secondo le stime di David Sacks, lo “Zar delle crypto” di Trump, Washington detiene circa 200.000 BTC, principalmente provenienti da confische effettuate ai danni di soggetti ed entità criminali, che andranno a comporre la base della SBR. Ma ne verranno acquistati per “massimizzare la posizione strategica di Bitcoin”, definito “una riserva di valore unica nel sistema finanziario globale”.
Detti, non detti e detti subliminali sono fondamentali in politica, un mondo che vive di messaggi lasciati tra le righe e di minacce spacciate per aforismi. Perciò è importante riportare anche questo passaggio dell’ordine esecutivo: “come è nell’interesse del nostro paese gestire con cura la proprietà e il controllo di ogni risorsa, dobbiamo sfruttare, non limitare, il potere degli assetti digitali per la nostra prosperità”. In altre parole: accumulare massicciamente Bitcoin per scopi di arricchimento, ma anche, in via potenziale, per manipolarne il prezzo.
Le criptovalute al centro della competizione tra grandi potenze
La cripto-strategia di Trump ha degli interessi molto più politici di quel che sembra. Nello specifico, l’amministrazione repubblicana insegue due obiettivi, interconnessi l’uno all’altro, che riguardano un avversario da sconfiggere, la Cina, e un worst-case scenario da impedire, la dedollarizzazione.
Gli Stati Uniti sono intenzionati a preservare, anzi a potenziare, la loro primazia tecno-militare-industriale dall’incontenibile ascesa della Cina, che, dopo essere diventata la potenza indiscussa delle energie rinnovabili, punta adesso a criptovalute, IA, NBIC e computazione quantistica. Gli Stati Uniti non possono vincere la battaglia per il criptoverso, se non arrivando primi alla Bitcoin Race.
Bitcoin sembra essere un pensiero fisso di Trump, che non perde occasione di promettere che renderà Washington “la capitale mondiale delle crypto”, perché “se non lo facciamo noi, lo farà la Cina”. Questo perché Bitcoin è tanto presente nelle dichiarazioni di Trump quanto ricorrente nei sogni di Vladimir Putin e Xi Jinping. La Bitcoin Race è una delle tante facce della competizione tra grandi potenze e, in particolare, della guerra semifredda sinoamericana.
Bitcoin, ma non solo…
Il secondo obiettivo della cripto-agenda di Trump è scongiurare una Bitcoin Transition nel commercio e nella finanza globali. Questo perché Bitcoin nasce come alternativa al dollaro e, in generale, a tutte le monete fiat. Quel dollaro su cui poggia la primazia degli Stati Uniti nella globalizzazione e che oggi è minacciato da due forze: criptovalute e BRICS+.
Trump sembra aver deciso di affrontare la sfida della dedollarizzazione in modo risoluto: da un lato ricorrendo a embarghi, tariffe e sanzioni secondarie, dall’altro scommettendo sulla finanza decentralizzata. Perciò ha accantonato l’idea di una CBDC (Central Bank Digital Currency), di cui Washington non ha bisogno. Questo perché esistono progetti come USD di Circle e USD di Tether, due stablecoin che di fatto sono dei dollari digitali. Nel caso di Tether, parola di Paolo Ardoino, il gioco è a carte scoperte: si tratta di rafforzare l’”egemonia del dollaro” nel criptoverso.
Crypto-geopolitica!
Le mosse di Trump mostrano quanto stia diventando sempre più stretto e inossidabile il legame tra criptovalute e politica internazionale. La competizione tra grandi potenze è sbarcata nel criptoverso, sebbene gli operatori del settore fatichino a rendersene conto.
Trump cercherà di alimentare negli Stati Uniti e nel mondo l’adozione di Bitcoin come riserva di valore archeofuturistica, ossia come “oro digitale”, contrariamente a Cina, Russia e compagnia revisionista che lo promuovono come mezzo di scambio. Visioni naturalmente divergenti: Washington può perpetuare la dominanza del dollaro nell’epoca della decentralizzazione soltanto depotenziando il progetto Bitcoin e internazionalizzando in contemporanea l’utilizzo di dollari digitali, i BRICS+ possono accelerare l’avvento di un multipolarismo valutario, tra le varie cose, favorendo l’idea del Bitcoin Standard.
Dollari (in ogni loro forma) contro Bitcoin. Lo scontro è già iniziato – ed è globale. Sia sufficiente pensare al caso salvadoregno, di cui i più ignorano i retroscena. Fu Pechino a scrivere la “strategia di bitcoinizzazione” di Nayib Bukele. Strategia che originariamente assegnava a Bitcoin il titolo di valuta a corso legale concorrente al dollaro e che Bukele è stato poi “spinto” (da Washington) ad abbandonare, tenendo sì Bitcoin, ma come innocua riserva di valore. La Bitcoin Cold War è appena cominciata e promette scintille.