Venerdì 19 maggio 2023. Nella carrozza è facile identificare ‘i nostri’: due donne mano nella mano, su un A4 plastificato, sono il segno di riconoscimento. Presagio inequivocabile del SalTo attraverso lo specchio: Salone delle meraviglie, stiamo arrivando!
O così pensavo, prima di sbarcare in questa terra per me ancora vergine, regno della carta stampata e impero della parola. Ti cambierà, mi avevano detto gli amici de Lapaginabianca e Lanterna. Più Libri, Più Liberi? Testo? Non hai visto niente. Ma io sono tranquillo: ho scelto gli eventi, avvisato qualche conoscenza, perfino letto un paio di nuove uscite. Povero illuso.
Il primo impatto è disperante. Credevo mi sarei orientato, ma la struttura è immensa. Rimbalzo da un padiglione all’altro, trovo qualche stand familiare, riconosco la sala di una presentazione, ma dopo un po’ mi devo arrendere: prendo la cartina. Sul tavolo da caffè non ci sta, è troppo grande. Penna rossa e legenda, scopro dove andrò a finire sabato e domenica. Combatto la frenesia di fare tutto, vedere tutto, desiderio che in uno spazio sconfinato si riduce in nulla—divide et impera, parole sante. Decido che sabato mattina se ne andrà in Barbero. Non posso rischiare di perderlo, ho finito il suo ultimo romanzo già da una settimana… e poi è Barbero! Idem domenica, per Carrère.
Questo anti-Salone mi permette di stare in fila tra i primi posti non prenotati per Brick for stone. Tuttavia, dopo un’ora di attesa sotto la pioggia battente, una volta aperte le gabbie, tutto è concesso. Comitive e famiglie accelerano il passo, si superano a vicenda, poco ci manca qualche sgambetto. Poi un’altra ora di attesa appena fuori l’auditorium. L’esperienza si ripete con poche variazioni il mattino dopo, per Emmanuel Carrère, e ancora, nel pomeriggio, al firmacopie del Magister. E visto il filo rosso che unisce entrambi gli eventi—un romanzo sull’attacco alle Torri e una cronaca giudiziaria sul Bataclan—, mi ritrovo a pensare al fanatismo.
Chi sono i fanatici? Quelli che urlano Allahu Akbar prima di fare una mattanza? Sicuramente lo sono i cattivi di Brick for stone e gli imputati di V13, il nuovo Strega Europeo. Ma se in questo Salone del Libro ho passato quasi un terzo del tempo in coda, forse sono un po’ fanatico anch’io. Perché anch’io ero là per i miei idoli, immerso nell’isolamento collettivo, perso nella massa che orbita attorno alla sua stella—una participation mystique, direbbe chi ci capisce. Tuttavia, non s’intende questo con attraversare lo specchio?
Per me, vivere nell’attesa di un incontro, dare corpo alla persona dietro l’opera, è stato un processo, a un tempo, estraniante e arricchente. Estraniante perché inseguire il feticcio dell’autografo, della stretta di mano, di un cenno di saluto, sono aspetti di facciata: c’è un altro essere umano, ma in fondo non m’importa—è la sua gloria riflessa che bramo! Arricchente, invece, perché questo stesso incontro all’insegna dell’idolatria non è il punto d’arrivo, ma solo una tappa. C’è un ritorno attraverso lo specchio. Il Paese delle Meraviglie non è luogo in cui restare, ma una terra di mezzo, un ponte.
Un ponte tra cosa?
A circa una settimana da questa avventura, posso dirla così: tra essere e apparire. Trovare l’arcadia, qualunque essa sia—con tutto da scoprire, conquistare, santificare—, è un’esperienza inebriante. Sebbene stanchi, non si avverte stanchezza. Sebbene soli, non si patisce la solitudine. Tutto appare magico perché come in sogno—La vita è sogno, titolava un’opera di Calderón de la Barca. E se la vita è uno specchio di chi siamo, allora è anche lo specchio dei nostri sogni. Sogni da cui, prima o poi, bisogna svegliarsi: gli idoli si frantumano, l’oro diventa sabbia, dell’estasi rimane un ricordo. Il divino di cui abbiamo avuto presagio sparisce, come l’ultimo raggio di luce di un giorno morente.
Allora cosa resta?
L’attraversamento.
Perché se la parola innalza edifici destinati a crollare, sempre la parola può farli ritornare. Così, come il ricordo dei sogni non corrisponde all’esperienza dei sogni stessi, scrivere di questo Salone del Libro è affermare il dominio illusorio, ma eterno, della parola. Il viaggio attraverso lo specchio è todo y nada, tutto e niente. Uno scarabocchio sulla sabbia e anche un ‘segno d’immortalità’. La testimonianza del passaggio e la speranza di un ritorno. “In principio era il verbo” non è solo genesi, ma anche rivelazione: non è monumento, ma idea immortale.
Bellissima sintesi di un’esperienza unica.