Vittorio De Sica e Pier Paolo Pasolini, sono personaggi con percorsi esistenziali ed artistici tanto diversi tra loro; trovano però nel Neorealismo una vicinanza culturale ed un affratellamento ideale. Ma questa corrente del cinema italiano è stata declinata e vissuta dai due registi in diverso modo.
Il Neorealismo di Vittorio De Sica è una forma d’arte cinematografica che penetra nella realtà quotidiana, annullando lo spazio che separa lo schermo dal pubblico, fondando una poetica della realtà. Pier Paolo Pasolini usa il Neorealismo come uno strumento, per realizzare visivamente la sua idea del sottoproletariato urbano. Le figure che lui disegna: prostitute, ladri, ragazzi da vendere etc. sono simboli di una egemonia borghese e cattolica che costringe gli ultimi a restare ultimi, impedendo una scalata sociale. Il Neorealismo pasoliniano si innesta nella visione politica marxista, mentre in De Sica il neorealismo è un occhio che osserva e penetra come nei tessuti sociali. Vittorio De Sica, personaggio con i capelli grigi, dal sorriso smagliante, forse un poco fatuo, una maschera ammiccante, protagonista in qualità di attore del cinema italiano si trasforma durante la Seconda guerra mondiale in regista, inventando questa nuova corrente cinematografica lontano dal cinema di regime, il quale aveva l’obbligo di rappresentare dei canoni stereotipati. Pier Paolo Pasolini, romanziere, poeta e saggista, si trasforma in regista agli inizi degli anni ’60. Egli ha lo sguardo asciutto di chi ha travalicato ogni norma e limite, attraversando esperienze personali drammatiche e reali, in un mondo che si estende sotto il livello della cultura borghese. Queste due grandi figure della cultura italiana sono unite dalla volontà di raggiungere un unico obbiettivo: rappresentare la verità. Il desiderio cioè di penetrare la realtà con occhio impietoso e poetico, sentire il “popolo” psicologicamente e miticamente. Ma la realtà rimanderà loro uno sguardo di vittoria intollerabile: il verdetto di un destino ineluttabile e di un’umanità condannata a vivere senza speranza. De Sica e Pasolini maneggiano con delicatezza e ruvidità un materiale fatto di scorci di città, con erba e asfalto, facciate di povere case graffiate dal tempo e di baracche fatiscenti, macerie di un passato e costruzioni che si ergono come scheletri ai margini dei “confini” di un mondo. Corpi imprigionati in poveri panni e occhi ardenti di purezza. Dolori forti accanto ad un accecante desiderio di felicità. Vittorio De Sica e Pier Paolo Pasolini lasciano allo spettatore un bruciore di lacrime mai sentimentale.
De Sica e Pasolini sono pietosi e assurdamente dolci anche quando scavano nel fango di una realtà brutale. Ad esempio nei film “ Ladri di Biciclette” e “Accattone”, troviamo le tracce di personaggi stanchi, usurati, ma con soprassalti di rabbia dettata dalla paura e dal desiderio di una impossibile integrazione. I due registi, escono anche metaforicamente dai teatri di posa, usando le strutture reali come set e attori presi dalla strada. Infatti, soltanto coloro, che veramente avevano vissuto le realtà rappresentate, potevano esprimere la verità. A riprova di ciò, si può portare un’intervista di Pier Paolo Pasolini, del 1975, nella quale il regista dichiarava che il mutamento della società in quindici anni, era stato così profondo e ampio, che gli sarebbe stato impossibile, girare di nuovo la vicenda di “Accattone” con attori presi dalla strada a lui contemporanei (né tantomeno con attori professionisti), essendo cambiato profondamente il linguaggio e le strutture sociali. Sullo sfondo delle vicende raccontate dai due registi, si agitano e prendono forma avvenimenti storici ben diversi tra loro, ma che hanno apportato modifiche sociali e civili e radicali mutamenti: per Vittorio De Sica la guerra e il dopoguerra. Per Pasolini, lo sviluppo delle borgate e il boom economico, che allargò maggiormente la forbice tra borghesia e emarginazione.