Antoine Gallimard, l’artigiano della perseveranza

“Siamo una piccola casa editrice, lo rivendico. Mi considero un artigiano”, così sosteneva Antoine Gallimard nel giorno della premiazione del premio Nobel per la letteratura 2022, assegnato alla sua scrittrice Annie Ernaux. 

Un catalogo – il suo – non esattamente “piccolo”. Nel 2011, per celebrare i cento anni della casa editrice, venne realizzato il Catalogue Général che conteneva circa 32.000 volumi. Tra questi impossibile non citare Proust, Kundera, Sartre e De Beauvoir, eppure non bisogna fare l’errore di trovare una linea editoriale precisa perché dietro c’è solamente una grande apertura e una questione di gusto, lo stesso Gallimard chiarisce che è contento di avere sia Morante che Ferrante. 

A Teresa Cremisi, brillante intervistatrice in questa Sala Blu piena di colleghi editori, ma anche di ammiratori dell’editore francese, replica senza mezzi termini che non si sente tentacolare, non sente di essere il colossal da 560 milioni di fatturato all’anno. Anzi, rispetto agli altri gruppi editoriali non ha mai cercato di fare il caimano acquisendo piccoli marchi, bensì gli è sembrato di cogliere delle opportunità amando lo spirito di impresa

L’evento è parte della rassegna sui ferri del mestiere che ruota attorno alle figure editoriali: dagli scout agli agenti, dai traduttori alla comunicazione, sino alla figura più controversa dell’editore. A raccontarne difetti e pregi c’è Antoine Gallimard, presidente della Éditions Gallimard.

Il nonno Gaston, fondatore della storica Casa, ripeteva che l’unico motivo che lo ha portato a questa strana vocazione era la felicità. Non aveva una particolare inclinazione per le lettere e la letteratura, ma asseriva che l’editore è colui che si appassiona a libri che non si vendono. 

Per suo nipote l’intento è chiaro: reinventare. Non smettere mai di cercare nuovi modi di confrontarsi con le sfide del nuovo secolo e delle nuove tecnologie, trovando nuovi strategie per portare avanti questo mestiere. Insiste — senza troppi giri di parole — sulla vitalità dell’opera. Nonostante gli dicano che è l’autore ciò che conta, mentre l’editore e il libraio pensano (o dovrebbero pensare) solo all’argent, lui è fermo nella convinzione del nonno: l’editore è un commerciante che ha fatto un patto con la mente. 

«Quando si eredita un’impresa, una mentalità, una convinzione che riguarda la libertà di pubblicare» continua Gallimard «è un dovere rispettare questa libertà. Mio nonno mi chiese cosa volessi fare nella vita, perché una casa editrice è anche il peso delle responsabilità che ne conseguono».

Teresa Cremisi lo incalza sul rapporto con gli autori, ripetendo le parole di Sellerio su quanto quest’ultimo si crucci quando uno dei suoi lo lascia per cambiare casa. Su questo Antoine non ha dubbi: «Scelgo solo autori che non mi tradiscono, d’altronde il rapporto tra autore ed editore è un lavoro di coppia dove l’autore cresce insieme alla casa editrice. Io amo gli scrittori ai margini. Senza la libertà di offendere non esiste la libertà di espressione».

Così in questa macchina che urta costantemente contro altri veicoli  — come lui  stesso definisce la sua vita —  c’è il rammarico di trovarsi in un mondo dell’editoria che non è più lo stesso, in quel paesino dove tutti si rispettavano e gli autori erano fedeli. Per lui il fulcro è ancora quello di trovare nuovi modi di coltivare la lettura e il lettore, avviando progetti già per i più piccoli. 

«Bisogna coltivare la propria casa editrice come un giardino, che deve essere curato e difeso. I miei manager tendo a cambiarli ogni tre 4 anni, mentre invece i miei collaboratori li amo molto e restano con me a lungo. Bisogna diffidare dalle mode, mantenere la perseveranza, tenere fede alla propria idea».

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