Già dai primi anni del liceo mi sono interessato alla filosofia e, nello specifico, alla visione del mondo di Immanuel Kant.
Il genio di Königsberg ci tramanda una filosofia complessa e rivoluzionaria capace di segnare la nostra cultura, rendendola più attenta e consapevole.
Tra i tanti spunti che emergono, data la grandezza della tematica, mi soffermerei sulle argomentazioni di natura politica, con la speranza che queste parole possano illuminare chi si occupa della Res Publica come ogni altro cittadino che non le conosca. Va premesso che, la filosofia politica Kantiana, non si può sintetizzare in una singola opera; bisogna infatti ricercare i fondamenti di questa dottrina in scritti eterogenei per approccio, ampiezza e datazione.
Iniziando da alcuni esempi, si va dalla “Critica della Ragion Pura”, dove si idealizza la grandezza della repubblica, fino ad arrivare alle opere realizzate tra 1784 e 1795, in cui si sviluppano le riflessioni in materia di Stato, diritto, cosmopolitismo e pace.
Dunque, bisogna far proprio il concetto che, per Kant, il valore della pace è un criterio costitutivo del destino storico e politico di tutta l’umanità oltreché misura del progresso umano.
L’umanità, come ogni singolo uomo, va trattata come fine e mai come mezzo, tenendo a mente che il valore di ogni individuo è supremo dovere dell’agire umano.
Ad oggi, in un’epoca in cui le istituzioni e la politica sembrano essere schiave degli interesse personali e personalistici, questi concetti devono essere ripresi e fatti propri.
Perché ad emergere avanti agli occhi del popolo, è la parte peggiore della politica e dell’amministrazione. Per appropriarsi e comprendere questo concetto basta dare uno sguardo agli indici di Percezione della Corruzione di Trasparency International, in cui spicca la posizione dell’Italia, oggi al 53° posto nel mondo per corruzione percepita.
Tale percezione è il risultato di un lento sgretolamento del rapporto tra politica ed individuo, oramai trasformatosi nello strumento principe dell’arricchimento personale attraverso lo sfruttamento della società. Il pensiero kantiano viene dunque, inconsciamente, capovolto, negando i pilastri della sua politica.
Esplicate alcune riflessioni di carattere generale, bisogna concentrarsi sul pensiero di questo filosofo, un pensiero che non può essere né sintetizzato né, tantomeno, affrontato sulle pagine di un giornale.
La complessità delle sue opere è tale da meritare anni di studio e di approfondimento.
Ritengo, comunque, che sia importante ricreare attenzione e curiosità tutt’intorno ad una figura storica che tornerebbe, anche oggi, ad arricchire il pensiero politico in generale. Concludo, dunque, queste mie riflessioni, con una celebre frase di Otto Liebmann: “Bisogna tornare a Kant!”.