Santiago del Cile. 11 settembre 1973. Un golpe dell’esercito cileno pone fine al governo del socialista Salvador Allende, morto (probabilmente suicida) durante la difesa del Palacio de La Moneda.
Il colpo di stato militare ha significative ripercussioni nella vita politica italiana, segnata in quegli anni da una profonda crisi istituzionale e da un dialogo tra la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito Comunista Italiano (PCI) in direzione di una possibile, quanto difficile, convergenza.
Un socialismo democratico
Marxista eterodosso, Allende è un politico poco incline al dogmatismo ideologico. È apertamente contrario alla presa del potere attraverso una rivoluzione violenta ed è avverso all’instaurazione di un sistema monopartitico che escluda le forze popolari dal meccanismo democratico.
È un uomo che si muove perfettamente all’interno dell’architettura costituzionale del suo Paese: nel ‘38 diventa Ministro della sanità e delle politiche sociali e tra il ’66 e il ’69 ricopre il ruolo di Presidente del Senato cileno.
Quando, alle elezioni presidenziali del settembre 1970, trova un accordo con l’ala sinistra dei democratici cristiani, raggiunge un risultato storico la cui portata non è solo nazionale.
All’entusiasmo della Unidad Popular (alleanza di sinistra che sostiene Allende) fa però da contraltare una pronta levata di scudi delle forze reazionarie della destra cilena, fiancheggiate da conservatori e liberali della classe borghese oltre che dall’amministrazione americana guidata da Richard Nixon, convinto anticomunista. L’embargo voluto dagli Stati Uniti e i finanziamenti occulti dell’amministrazione americana logorano così il governo democraticamente eletto dai cileni.
Riflessi cileni in Italia
Mentre Allende avvia il suo disegno governativo di politiche sociali a migliaia di chilometri di distanza, in Italia, procede l’avvicinamento informale tra l’ala sinistra della DC e il PCI. È un processo lento ma progressivo, che si intensifica a mano a mano che la tenuta democratica del Paese vacilla sotto i colpi dell’eversione di estrema destra (nel ’69, a Piazza Fontana, si consumava solo il primo di una serie di attentati di matrice neofascista). Ci si avvicina a quello che Berlinguer, qualche anno più tardi, definirà il “nuovo grande compromesso storico” tra DC e PCI.
Il supporto dato ad Allende dai democratici cristiani di sinistra rappresenta un elemento di significativo interesse per il PCI di quegli anni. La ricerca di un dialogo con i cattolici non rappresenta una novità per i comunisti italiani: margini di dialogo e confronto ci sono sempre stati se si escludono gli anni più intensi delle Guerra fredda. Ma ora il PCI è pronto a rivedere la sua posizione sull’europeismo e la collocazione Nato del Paese, configurandosi quindi non solo come affidabile interlocutore, ma anche come potenziale futuro alleato di governo della DC.
La nascita, in Cile, di un governo a trazione socialista, supportato da una parte dei cattolici, dai comunisti e dai radicali, è un fatto storico che dimostra la possibilità, per le forze socialiste, di arrivare al potere e di governare in modo democratico. Una possibilità che si realizza in un paese sudamericano dove l’ingerenza degli Stati Uniti è superiore rispetto a quella che Washington esercita in Europa occidentale negli anni ‘70. In altre parole, in Cile si materializza qualcosa che potrebbe realizzarsi anche in Italia nel breve periodo.
L’esperienza cilena e il compromesso storico
L’influenza dell’esperienza cilena nell’elaborazione del compromesso storico è palesata proprio da Berlinguer in un insieme di articoli usciti nell’autunno del ’73 su Rinascita. Secondo il comunista italiano, un incontro politico tra le forze antifasciste e popolari (come c’era stato dal ’43 al ‘47) si rendeva necessario per scongiurare pericolose derive reazionarie a destra. Per evitare una simile ipotesi e avviare un percorso di unità tra le forze democratiche, bisognava coinvolgere non solo l’ala sinistra della DC (come era riuscito a fare Allende in Cile), ma tutto il partito cattolico.
Per Berlinguer, in Italia non andavano commessi gli stessi errori dell’esperienza cilena: bisognava trovare una strada percorribile da tutta la DC e da tutto il PCI, andando oltre le correnti, pena un’irreversibile instabilità che avrebbe distrutto qualsiasi ipotesi di duratura collaborazione. Una strada che si interruppe bruscamente il 9 maggio del ’78 con l’omicidio brigatista di Aldo Moro.
Il compromesso storico moriva con lui ma il sistema democratico, minacciato prima dal terrorismo di estrema destra e poi da quello brigatista, uscirà da quella stagione senza cedere alle sirene reazionarie. Un destino diverso da quello del Cile, che rimarrà preda della dittatura del generale Augusto Pinochet fino alla fine degli anni ’80.