“Maccarone, m’hai provocato? Ed io te distruggo sa, me te magno!”.
Chiunque nella vita, anche per caso, avrà sicuramente sentito o letto da qualche parte questa frase.
Quando venne pronunciata, nel lontano 1954, nessuno avrebbe immaginato che sarebbe diventata una delle citazioni più celebri e pronunciate del cinema italiano.
In questa scena vediamo un giovane attore che di lì a poco sarebbe diventato un Mostro del grande schermo e che, a inizio carriera, veniva snobbato dai grandi registi a causa del suo “faccione”, troppo spiritoso per il genere cinematografico del periodo (il malinconico e veritiero Neorealismo).
Ebbene si, questo attore era Alberto Sordi, il grande “Albertone” che tutti conosciamo ed amiamo.
Nasceva il 15 giugno 1920, esattamente 100 anni fa, nel Rione Trastevere a Roma.
Considerato ancora oggi “il romano per antonomasia”, lavorò con i più importanti registi del cinema italiano ma, inizialmente, si fece notare come doppiatore, prestando la sua voce a grandi attori, anche internazionali, come Oliver Hardy (il mitico Ollio del duo comico statunitense “Stanlio e Ollio”) e Marcello Mastroianni in “Domenica d’agosto” di Luciano Emmer.
Doppiò fino al 1956 ma fu in radio che venne realmente notato, grazie a programmi come “Oplà”, “Vi parla Alberto Sordi” e “Rosso e nero”, dal quale nacquero alcuni personaggi ideati da lui stesso insieme ad altri grandi nomi come Ettore Scola e Fiorenzo Fiorentini.
Dopo alcune comparse e piccoli ruoli nel cinema, fu nel 1952 con “Lo sceicco bianco” di Federico Fellini, ad entrare a tutti gli effetti nel panorama del settore cinematografico .
Il film fu un vero e proprio flop al botteghino ma diede all’attore una certa notorietà, rafforzata poi l’anno seguente con un’altra collaborazione con Fellini ne “I Vitelloni”.
Sordi fu un artista a 360 gradi, abile nel portare sul grande schermo le peculiarità (positive e negative) di un’Italia segnata dal boom economico degli anni 50, dove si stava diffondendo la cosiddetta società di massa e in cui iniziavano ad irradiarsi nuovi valori che, più che basati sulla tradizione e la semplicità, si impregnavano sempre più di materialismo e consumismo, proprio come quei valori che contraddistinguevano il personaggio di Nando Mericoni di “Un americano a Roma”, giovanotto romano fanatico dell’America che però, alla fin fine, alla mostarda preferisce comunque il maccherone italico, o quelli dell’altezzoso Otello Cerietti ne “Il vigile” fino ad arrivare al Giuseppe Di Noi, il “Detenuto in attesa di giudizio” vittima innocente della malagiustizia italiana o al Giovanni Vivaldi de “Un borghese piccolo piccolo”, capace di tutto pur di far avere un posto fisso al figlio e che varrà a quest’ultimo, quasi per uno scherzo del destino, la vita.
Ecco, la grandiosità di Sordi era proprio in questo: riuscire a passare dall’interpretare personaggi macchietta e sbruffoni a quelli più profondi e malinconici con estrema genuinità e trasparenza.
Se nei film appariva estroverso e disinvolto, per quanto riguarda la sua vita privata era tutto il contrario. Rimase fedele alla sua volontà di rimanere scapolo e così fu fino alla sua morte, avvenuta il 24 febbraio del 2003 a causa di un tumore ai polmoni.
Se si pensa al cinema italiano, è impossibile non farci venire in mente Alberto Sordi: il mito, la romanità, l’Italia tutta, quel riso amaro che al cinema odierno manca, più che mai.
Molto brava, un resoconto conciso ma ben delineato nelle cose più importanti della vita del grande Albertone.
Un excursus completo e conciso non solo sulla vita di un attore immenso, ma anche sul miglior patrimonio cinematografico che l’Italia possa vantare. Grazie.