Alberto Moravia: un percorso tra scrittura ed “eroi apatici”

Ma bisognava lasciarsi cadere fino al fondo della vita; gli fece cogli occhi un freddo cenno di assentimento e non senza disgusto, ché quel vino francese non le era mai piaciuto, vuotò il calice fino all’ultima goccia

Alberto Pincherle, in arte Moravia, nasce il 28 novembre 1907 a Roma. Gli Indifferenti è il romanzo d’esordio, pubblicato nel 1929.  Ll’autore indaga la storia della famiglia composta da Mariagrazia, la madre, Carla e Michele, i suoi due figli. Di seguito un percorso sulla scrittura e sui suoi personaggi che hanno contribuito a caratterizzare la letteratura italiana del Novecento.

Moravia vive in un periodo letterario in cui si è ormai messa in discussione la realtà oggettiva e di conseguenza anche elementi come la trama attraverso autori come Italo Svevo. L’intento di Moravia è, invece, ammettere che esiste una realtà oggettiva. È necessario un ritorno alla realtà e alla chiarezza per una letteratura non più destinata solo all’èlite.

L’autore romano sceglie di seguire il modello della tragedia: tornare all’azione e ai personaggi, basandosi sulla figura dell’eroe che viene nuovamente posto dinanzi alla scelta di agire e che cerca un senso nelle proprie azioni. Al centro della sua scrittura emergono così delle costanti: la rappresentazione delle classi sociali attraverso storie verosimili, dunque più personaggi con più punti di vista ma con elementi in comune, un narratore attendibile, una lingua che riecheggia il parlato.

La voce narrante abita la mente di tutti i personaggi ma non ne segue la tortuosa evoluzione del pensiero. Di quest’ultimo viene data la soluzione finale. La psiche del personaggio risulta essere a tutto tondo: senza inspiegabili contraddizioni. Tra pensiero e azione non si dà mai profondo contrasto. La vita psichica del personaggio non è più la miniera da esplorare.

La lingua di Moravia non è caratterizzata da espressionismo, con una sintassi semplice e un lessico non ricercato.

 Prevale l’uso di una lingua media, di un codice unanimemente condiviso. Ciò indica omologazione ideologica: dunque anche la scelta linguistica è simbolo di perdita identitaria dei singoli e testimonia la mediocrità. Adesione all’immagine dell’uomo medio.

Gli eroi apatici moraviani

Nella rappresentazione della classe borghese, Moravia non pone alcun freno all’immoralità e alla scorrettezza reciproca dei personaggi. Michele, protagonista degli Indifferenti, viene considerato l’eroe apatico: vorrebbe reagire a Leo ma non riesce veramente a provare rabbia. Vive un’incapacità di entrare in conflitto con Leo. Sa che dovrebbe agire ma non lo fa. Michele crede in ideali altissimi, sogna un mondo più vero, ma resta l’eroe della non-azione.

Anche Carla vorrebbe superare la sua condizione di disagio: vorrebbe l’ingresso nell’età adulta, salvare la villa ma allo stesso tempo mantenere il proprio stato sociale. Carla non vuole essere come la madre ma l’unica soluzione sembra essere uccidere una parte di sé, quella che vorrebbe un mondo puro. 

L’opera appare essere un romanzo di formazione, che avviene attraverso la distruzione dell’età giovanile. Carla e Michele invecchiano nel momento stesso in cui superano le due prove, diventando come i loro genitori: vecchi e statici, inetti. Carla è meno ingenua, ovvero capisce il senso della sconfitta. Alla fine anche Michele avrà consapevolezza della sua sconfitta

Personaggi che appaiono dei manichini, spinti nelle loro azioni dalla noia e dall’indifferenza, ma soprattutto dall‘influenza della figura di Leo.  La famiglia, infatti, vive grandi difficoltà economiche e il rischio è la perdita della villa. Mariagrazia rifiuta di dar via la casa e non vuole cedere alle proposte di vendita di Leo, non per un legame affettivo alla villa, ma per la sua immagine nella società, per mantenere quella parvenza di ricchezza dinanzi agli altri.

Michele resta alla fine un eroe apatico, vorrebbe affrontare l’ignoto come i grandi eroi, ma resta schiavo della sua inettitudine.

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