Riaprono per la prima volta le porte delle università pubbliche di alcune province dell’Afghanistan da quando i talebani hanno preso il potere lo scorso 15 agosto a Kabul. Studenti e studentesse potranno tornare nuovamente a vivere gli spazi universitari del paese, a condizione che le aule e gli ambienti accademici vengano separati in base al sesso: classi e orari diversi per i maschi e per le femmine.
Secondo quanto riportato dal quotidiano Avvenire, secondo i funzionari del governo di Kabul, a riaprire le porte nella giornata di mercoledì 2 febbraio sono stati gli atenei delle province di Laghman, Nangarhar, Kandahar, Nimroz, Farah e Helmand; mentre le altre università del paese dovrebbero riaprire entro la fine del mese.
Dopo oltre quattro mesi le studentesse afghane potranno quindi tornare a studiare nelle università pubbliche. Dopo la presa del potere dei talebani, infatti, alle donne e alle ragazze era stato vietato non solo la possibilità di frequentare l’università, ma anche quella di andare al lavoro. Ad annunciarlo era stato un tweet del nuovo rettore dell’Università di Kabul Mohammad Ashraf Ghairat – nominato dai talebani – lo scorso 27 settembre: “finché non sarà fornito un vero ambiente islamico per tutti, le donne non potranno frequentare le università o lavorare”.
Una riapertura molto attesa, importante per ricostruire non solo il tessuto socioculturale del paese e per fornire ai giovani e alle giovani afghane un’istruzione superiore, ma anche un segnale forte del paese per la comunità internazionale, che dopo l’annuncio dello scorso settembre temeva di vedere l’Afghanistan piegato come durante il regime talebano degli anni Novanta.
“Non c’è speranza, l’intero sistema di istruzione superiore sta crollando”, aveva affermato Hamid Obaidi, l’ex portavoce del Ministero dell’istruzione superiore, che è stato anche docente presso la Scuola di giornalismo dell’Università di Kabul, a seguito della chiusura delle università pubbliche afghane.
A pronunciarsi sulla situazione in Afghanistan è stata anche la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, intervenendo alla Conferenza sulle donne afghane. Secondo quanto riportato dall’Ansa, la presidente dell’europarlamento ha annunciato che “i diritti delle donne e delle ragazze afghane devono essere una priorità negli aiuti umanitari. – aggiungendo – Il nostro impegno è verso il popolo dell’Afghanistan, non verso i suoi governanti”.
Sulla conferenza organizzata al Parlamento europeo, a Bruxelles, dal titolo “Afghan Women Days” si sono pronunciate anche diverse figure politiche. Tra queste riecheggia l’appello di Anna Cinzia Bonfrisco, europarlamentare della Lega, riportato da 9Colonne: “L’Unione europea dovrebbe incoraggiare e sostenere un Forum di dialogo sulle donne afghane, consentendo alle donne afghane di far sentire la propria voce e di rimanere visibili” aggiungendo inoltre come “la nascita di una piattaforma permanente per le donne afghane e per tutti noi dovrebbe essere la contromisura più urgente contro le azioni e la mentalità dei talebani contro le donne”.
Certo è che se le difficili condizioni politiche, economiche e sociali che l’Afghanistan sta vivendo negli ultimi vent’anni hanno messo al centro del dibattito mediale internazionale – specialmente in Europa e in America – la condizione femminile nel paese: una condizione che era già difficile e pesante ben prima dell’arrivo dei Talebani.
Come afferma Marco Bruno, docente e dottore di ricerca in Scienze della Comunicazione presso La Sapienza Università di Roma, nel suo lavoro ‘Istantanee di un Islam glocale’: “se è vero che nel periodo in cui i Talebani hanno tenuto il potere in Afghanistan il rispetto dei diritti umani, in particolare per le donne ha raggiunto i livelli più bassi, è pur vero che prima del 1996 la condizione femminile nel paese era tutt’altro che rosea”.
Appare chiaro quindi come la notizia delle riaperture degli atenei pubblici alle donne in Afghanistan di questi giorni si configuri solamente come il tassello di un mosaico molto più articolato e complesso, che nasconde alle sue spalle una storia ben più profonda.
Bene, dunque, la proposta di aprire e di sostenere un forum di dialogo per le donne come una risorsa in più per dare spazio e legittimazione alle voci della popolazione afghana, purché l’iniziativa non tralasci la lunga storia del paese, non perdendo di vista le diverse sfaccettature e situazioni politiche e sociali che il paese vive da anni, e non cada come l’ennesimo framework di narrazione occidentale della vita quotidiana del paese.