A una settimana, ormai, dal definitivo abbandono (se così si può dire!) degli americani del suolo afghano, ho rivolto alcune domande a Michele Pavan, fondatore e presidente dell’Associazione Mondo Internazionale, oltreché professore de “Il ruolo delle Organizzazioni Internazionali negli Scenari globali” presso l’Executive Master “Diplomatic, Economic and Strategic Perspectives in Global Scenarios” della LUM School of Management.
Buongiorno Michele e grazie della disponibilità. È importante per i nostri lettori avere un riscontro analitico sulle vicende che negli ultimi mesi hanno interessato il territorio afghano.
Come ampiamente riportato sui social e nelle varie testate giornalistiche cartacee e online, la decisione degli USA di ritirare le proprie truppe da Kabul non è stata vista di buon occhio. Senza tener conto, ahimè, che tale decisione era già stata presa con il precedente presidente Trump, e Biden l’ha soltanto portata a termine. Secondo lei, qual è il motivo che ha spinto l’attuale presidente americano a non ritirare tale decisione? Come possiamo definire realmente la posizione dell’Europa nei confronti di tale situazione? E quella dell’Oriente?
Grazie a voi della disponibilità e dell’invito, è per me un piacere condividere qualche riga di analisi e riflessione rispondendo alle vostre domande. Ritirare la decisione derivante dall’accordo sottoscritto dall’amministrazione Trump e i talebani non era possibile senza ricadere in una probabile guerra. Le analisi di intelligence e strategiche indicavano già la possibilità di conflitto tra i talebani e le forze armate afghane, ma si riteneva il governo afghano in grado di contrastare l’avanzata talebana. La decisione che spettava all’amministrazione Biden era di due opzioni: rispettare la scadenza del ritiro di tutte le truppe entro maggio 2021, oppure, negoziare una nuova data di ritiro delle truppe. La scelta è ricaduta proprio su quest’ultima opzione per cui è stata scelta la data simbolica dell’11 settembre.
L’Europa era ed è totalmente in linea con l’amministrazione statunitense per la decisione di porre fine alla missione in Afghanistan. Scelte diverse, per alcune amministrazioni europee, sarebbero state possibili per le modalità di ritiro. L’Oriente, invece, si vede nuove prospettive e possibilità di proiezione aprirsi all’orizzonte, certamente molto insidiose. Il terrorismo è un problema anche per Cina, Russia e Turchia. È invece molto interessante analizzare la posizione delle ex Repubbliche sovietiche quali Uzbekistan, Tajikistan e il Turkmenistan. Più scontata, se così si può dire, è la posizione di Iran, Pakistan e Qatar. Il Pakistan ha ospitato i talebani per vent’anni, mentre il Qatar ha ospitato tutte le trattative e anche alcuni leader dei talebani.
Non bisogna dimenticare, però, che la strategia USA è cambiata. Non è di quest’anno la proiezione degli interessi statunitensi nel Pacifico e un occhio di attenzione diviso tra gli alleati europei e il futuro dell’Africa, in particolare al terrorismo che dilaga dall’Afghanistan fino al Senegal e fino a sud in Sudafrica.
L’invasione dei talebani a Kabul è stata immediata, senza nemmeno essere ostacolati dal popolo afghano e dalle forze militari del governo. Non c’è stata alcuna ribellione e, addirittura, il capo del governo ha abbandonato la sede di sua spontanea volontà per mettersi in salvo. Dunque, il popolo afghano era inconsciamente preparato a tutto ciò o si aspettava che gli americani li difendessero? Perché non sono intervenuti gli afghani stessi?
La forza armata afghana contava su circa 300.000 soldati ben equipaggiati con i sistemi d’arma tra i più innovativi e avanzati. Forze equipaggiate, come si è visto dalle foto che circolano in questi giorni, con armi per lo più di fabbricazione statunitense. Come sempre, però, quando vengono svolti questi percorsi di addestramento ed equipaggiamento bisogna porsi delle domande. Qual è la motivazione che spinge i soldati a combattere rappresentando un popolo e qual è il grado di corruzione all’interno delle forze armate? La risposta è sotto gli occhi di tutti con le vicende che hanno coinvolto le forze di polizia e le forze armate con il governo. La corruzione, da sempre un punto delicato e molto difficile da contrastare dell’Afghanistan. Ovviamente, come si dice in questi casi, “non si può fare di tutta un’erba un fascio” e lo stesso vale anche per l’Afghanistan. Molti altri soldati, tra cui l’ex vicepresidente Saleh sono rimasti in Afghanistan al fianco di Massoud nel territorio del Panjshir a lottare contro i talebani.
Un errore, con il senno di poi commesso probabilmente, è l’accordo del ritiro in estate, momento in cui tutti i valichi della zona montuosa dell’Afghanistan sono privi di neve e i ghiacciai si sciolgono. Questo consente un transito molto più rapido dei talebani, specialmente dal Pakistan nelle aree interne, caratterizzando la velocità di penetrazione nel territorio.
Era impensabile un nuovo intervento delle truppe della coalizione al fianco degli afghani. Si sarebbe trattato di una violazione degli accordi di Doha e, dunque, un ritorno immediato alle armi.
Circola sul web un video in cui si vede il capo della sicurezza di Bin Laden far ritorno in città ed essere acclamato da alcuni cittadini con il baciamano. Un’azione un po’ contradditoria con i sentimenti di protesta contro i talebani che escono in sordina da un po’ di tempo. Eppure, c’è chi ancora acclama i talebani e il loro mondo. Come potranno convivere (se sarà anche possibile ciò!) le due fazioni di popolo, la parte occidentalizzata e la parte islamista?
Il popolo occidentale dovrà convivere, purtroppo, con i talebani. Correrebbero un rischio troppo elevato, senza un supporto esterno, manifestando e chiedendo il rispetto dei loro diritti. Sicuramente, in questi primi giorni, i talebani sono e saranno più inclini al dialogo, soprattutto per dimostrare al mondo il loro cambiamento. Cosa che, però, ha formato soprattutto il popolo che ha intrapreso in questi vent’anni un cambio di abitudini e usanze molto marcato. Credo si possa già affermare, senza dire nulla di nuovo, che il rapporto di Al-Qaeda con i talebani non è mai cambiato e, successivamente alla conquista del paese, sarà ancora più radicato e importante. In particolare, i giuramenti di fedeltà tra i talebani e Al-Qaeda, e viceversa, sono anche molto recenti come emerso dai rapporti delle Nazioni Unite e, allo stesso tempo, l’attività della Rete Haqqani, parte dell’organigramma talebano, consente un dialogo costante con il gruppo terroristico qaedista.
Ora è importante concentrarsi anche su un nuovo gruppo estremista, l’ISIS Khorasan che non è in alcun modo sottoposto o connesso con i talebani e Al-Qaeda.
Se gli USA fossero rimasti e avessero combattuto per il popolo afghano nuovamente, sarebbe cambiato qualcosa? Se sì, cosa e gli afghani avrebbero tratto insegnamento da questa ennesima possibile guerra civile? Non avendo combattuto per loro, quali saranno le conseguenze?
Avremmo iniziato una nuova guerra accusando gli Stati Uniti quali guerrafondai. Gli afghani hanno già tratto tutti i loro insegnamenti e una guerra non insegna ma distrugge. Credo che il popolo afghano rimarrà sempre legato all’Occidente, sono stati gli unici a dare (anche se solo per vent’anni) un senso alla loro vita riscoprendo nuovi valori, nuove abitudini ed il mondo che li circonda. Purtroppo, non tutto il popolo afghano è stato compatto e, forse, questo è stato un nostro errore. Non avere un obiettivo politico-istituzionale a lungo termine, come in Kosovo ad esempio. Questo per noi è stato un grave errore, ma anche un grande insegnamento per l’Iraq, per la Libia e per quello che sarà l’Africa nei prossimi anni, il Sahel è già una polveriera in cui di giorno in giorno si accende una nuova miccia. In Afghanistan le forze armate hanno centrato il loro obiettivo, non si può dire lo stesso per le Istituzioni. Ma ora, è tutto nelle loro mani.
Come in tutte le guerre, anche in procinto di nascere, ci sono due parti: quella a favore e quella contraria. In questo caso l’Afghanistan si divide in due spaccati con i rispettivi alleati di confine. Mentre a Ovest ci sono l’Europa e l’America che guardano esterrefatti ciò che accade nel paese e come 20 anni di sacrifici vengono spazzati via, a Est ci sono la Turchia, Russia e Cina pronti a intervenire per negoziare anche i loro interessi. Quali sono?
La posizione geografica dell’Afghanistan colloca il paese al centro dell’Asia centrale, crocevia tra Nord e Sud e tra Est e Ovest. Gli interessi sono tantissimi, innanzitutto economici ma anche geopolitici per equilibri tra potenze ed infrastrutturali. Si tratta di uno dei paesi più ricchi di litio e terre rare utili per batterie elettriche e smartphone, a cui si aggiungono il petrolio e il gas (ancora poco esplorati) e l’oppio, purtroppo gestito dal narcotraffico globale. Ma gli interessi non si limitano a questo. L’Afghanistan è strategico anche in chiave anti-indiana nella regione. Proprio l’India ha investito moltissimo nel paese a tutela dei suoi interessi minacciati dalla presenza del vicino Pakistan e dall’alleanza di quest’ultimo con la Cina. Il paese sarà coinvolto dalla strategia cinese della One Belt One Road, tornerà ad avere gli occhi puntati dell’Iran che è in cerca di alleati nell’area. Lo stesso per la Turchia, l’Afghanistan rientra nella strategia turca di espansionismo in Oriente. I turchi hanno delle mire espansionistiche importanti. È sufficiente guardare le attività commerciali del paese come i voli della compagnia di bandiera turca.
Qual è il ruolo dell’Italia in questa vicenda? È d’accordo con gli americani? Ci sono nazioni europee che vanno contro tale decisione? Se sì, perché? E loro cosa hanno fatto e/o come stanno operando?
L’Italia ha un ruolo di primaria importanza. È un’eccellenza globale, uno degli alleati più fedeli degli Stati Uniti e della NATO. In Afghanistan aveva il controllo della provincia di Herat nel nord-ovest. Come tutti i paesi occidentali anche l’Italia è sempre stata d’accordo al ritiro delle truppe dall’Afghanistan, non sempre concorde nelle modalità. Il paese, però, ha dato dimostrazione di essere in grado di gestire emergenze complesse, anche a distanza, con capacità, in sicurezza salvando anche vite umane ora dopo ora, superando di gran lunga anche il numero previsto di 3.000 afghani. Le nazioni europee, però, si dividono sempre sul tema di accoglienza e dei profughi. Anche in questo aspetto il problema è istituzionale. Non vi è una legge comune europea che disciplini quest’aspetto, demandando ai singoli governi la gestione dei flussi migratori. Solo nei prossimi mesi vedremo come si ridisegnerà il contesto europeo anche in virtù di questa riscoperta coesione per la difesa comune, anche se le domande rimangono tante. Qual è la politica estera europea? Per cosa verrà impiegata la difesa comune? Come sarà strutturata? E, soprattutto, chi sarà al comando? A queste domande potremo rispondere solo nei prossimi mesi ma si può dire che il post-Afghanistan ha scosso molti governi europei e, anche in questo caso, è tutto nelle mani delle Istituzioni.
Alla luce dell’incontro in Qatar, esistono davvero accordi con i talebani? Pensa che sia veramente possibile un loro cambiamento politico, meno estremista del passato?
Un cambiamento politico talebano è difficile da immaginare. Non dobbiamo dimenticare, però, questa opzione. Ad oggi e, sottolineo, ad oggi, è inimmaginabile. Un domani potremo rivalutare questa opzione. Intanto, come si diceva poc’anzi, il collegamento con Al-Qaeda e l’estremizzazione del gruppo sono noti. Non dobbiamo dimenticare che noi dobbiamo sconfiggere anche l’ISIS, in particolare l’ISIS-K. Se la regola “il nemico del mio nemico è mio amico”, ecco giustificato il primo motivo per cui dialogare con i talebani è importante. Allo stesso tempo, non dobbiamo fare l’errore di concedere troppo alla Cina e alla Russia in Afghanistan, dunque, mantenere i contatti con i talebani è di utilità strategica, anche per attività diplomatiche e di intelligence, fondamentali per tutelare gli interessi nazionali all’estero.
Con la pandemia si è scatenato un risveglio dell’Oriente: l’abbiamo visto protagonista di molte ribellioni che testimoniano il fatto di voler riprendere la loro impronta islamista. Un esempio è la Turchia, dove il presidente Erdoğan ci sorprende giorno dopo giorno con i suoi cambiamenti radicali islamici. L’Afghanistan è un passo dietro la Turchia in questo. In cosa si somigliano?
A mio modo di vedere non si somigliano. La Turchia, seppure con una deriva sempre più islamista, è ancora uno stato laico. Certo, l’espansionismo e le violazioni dei diritti umani reiterati sono noti ma si parla di due realtà totalmente diverse. Un errore da non commettere è spingere attuali “alleati” come la Turchia nelle braccia di avversari geopolitici consentendo a terzi di stringere alleanze o accordi per noi strategiche. Si pensi alla vicinanza Russia-Turchia, la stessa Russia con la Cina. La domanda da porsi, in merito alle ribellioni, è: “chi le supporta?”. Si pensi al Libano con alle spalle l’Iran. La Libia spaccata tra interessi contrapposti tra Russia, Turchia, paesi del Golfo e Occidente (anch’esso spaccato in Libia). Direi che prima e dopo la pandemia poco è cambiato; probabilmente la pandemia, amplificata dalla diffusione dell’informazione e dall’utilizzo dei Social Network, ha reso il mondo più interconnesso amplificando le spaccature latenti.
Il nuovo governo talebano si è insediato immediatamente, facendosi anche riprendere mentre discutono della sorte del paese. Si attendono varie riforme e modifiche delle leggi già esistenti. Ed è questo che fa riflettere: cosa ne sarà dei diritti, delle leggi e di tutte le giustizie di impronta occidentale che abbiamo regalato a questo popolo? Saranno in grado di farli valere e di non farli eliminare (come avevano dichiarato gli stessi talebani, anche)?
In questo credo che abbiamo ancora poco per valutare quale sarà il futuro. Emblematica è la dichiarazione dei talebani: “Le donne potranno fare tutto, rispettando la Sharia”. Ecco, io vedo la seconda parte della frase come il problema. Tutto è soggetto al rispetto della Sharia, dunque i diritti come da noi intesi verranno sicuramente violati e le leggi sicuramente modificate. C’è da chiedersi come il popolo reagirà a tali cambiamenti. In parte lo stiamo già vedendo: le donne e il popolo scendono nelle piazze a protestare, ma dove porterà queste persone nel medio o lungo termine? Mi auguro per loro che il futuro sia roseo e caratterizzato dal più ampio rispetto dei diritti e delle leggi ma, temo, che non sarà così.
Quale sarà il destino delle donne afghane che avevano riconquistato il diritto allo studio, al lavoro e la libertà di non indossare il velo? Le proteste continuano ancora nella città anzi, a dire la verità si mostrano molto più forti dei loro uomini. Si ricorda la giornalista di ToloNews che ha intervistato un portavoce talebano in diretta tv? È diventata un simbolo di speranza per tutte le donne, anche se per intervistarlo ha dovuto indossare il velo. Commenti la vicenda.
I talebani erano costretti e, in parte, lo sono tuttora, a condividere informazioni che dimostrino il loro rispetto dei diritti. Sono in cerca del riconoscimento internazionale e ambiscono all’avvio di quante più relazioni possibili. Senza dare dimostrazione (quantomeno apparente) del rispetto del popolo, dei diritti e delle leggi sono consapevoli che non otterrebbero alcun riconoscimento né il supporto ufficiale di qualche il paese. Ecco spiegata la strategia.
Bene, siamo giunti alla conclusione di questa intervista. Vorrei soffermarmi sulle testimonianze che ci lascia ogni giorno la corrispondente internazionale della CNN Clarissa Ward sul suo account Instagram (@clarissawardcnn). Il 1° settembre 2021 ha lasciato un post, molto commovente a parer mio, in cui a un certo punto scrive così: «[…] If you do feel depressed about the whole thing, that means you must support the endless continuation of the war.». È davvero una guerra senza fine? Certo, l’idea di dover convivere con una nuova forma di ISIS, il cosiddetto Isis-K, non ci fa vivere in tranquillità. Ritornerà la nostra paura di prendere un aereo e poter saltare in aria, o semplicemente di assistere in aeroporto a un attentato improvviso. E allora bisogna sperare che la persona accanto sia un amico, come capitato a Clarissa, che ti trascina via da queste situazioni. In ricordo, se sei fortunato ti troverai un livido sul braccio. Come Clarissa, che sul post di Instagram ringrazia l’amico e collega Shafi per averla salvata.
Ringrazio per questa ultima domanda, molto personale ma a cui tengo rispondere profondamente e molto sinceramente. La corrispondente Clarissa Ward la seguo giorno dopo giorno. A mio modestissimo parere una delle migliori corrispondenti nel mondo. Condivido la commozione nel leggere quel post condiviso su Instagram e che mi ha portato a profonde riflessioni del mondo.
Sono giunto alla conclusione che la guerra è una creazione dell’uomo e, fino a quando l’uomo esisterà, la guerra sarà parte delle nostre vite. Con questo presupposto sta a noi scegliere quale ruolo ha la guerra nel nostro mondo. L’ISIS, in generale, non solo l’ISIS Khorasan, è un nemico pericoloso come lo è Al-Qaeda tuttora in altri paesi, ad esempio in Africa. Non sono nemici statuali, ma si nascondono tra la folla e usano mezzi di comunicazione e di propaganda statuali. Sfruttano la debolezza del tessuto sociale o dell’emarginazione di parte della popolazione. Date queste variabili come per certe, siamo noi a dover scegliere come vogliamo agire.
Le forze armate, l’intelligence e la diplomazia lavorano h24 per darci nuove prospettive per il futuro e migliorare la nostra qualità di vita, in sicurezza in ogni parte del mondo. Per questo mi sento di dire che la paura di viaggiare, di volare e di spostarci dobbiamo cercare di limitarla con le nostre forze e fidarci di uomini e donne preparate, pronte a difenderci a ogni costo, anche con la loro stessa vita. Dobbiamo ricordarci di guardare la vita con ottimismo senza commettere l’errore dell’11 settembre 2001. Un errore fatale di cui nessuno ha colpe. La capacità di non dare nulla per scontato e di non sottovalutare nessuno. Allo stesso tempo, com’è capitato a Clarissa, il mondo è pieno di amici, spesso la differenza la facciamo noi con le nostre azioni. Si pensi allo stesso Afghanistan. Vent’anni fa sarebbe stato quasi impossibile considerare il popolo afghano amico dell’Italia, eppure eccoci qui. Vent’anni dopo con persone che parlano l’italiano meglio degli italiani stessi e che condividono i nostri valori nel profondo del loro cuore. Semplicemente perché la protezione che gli è stata offerta, insieme ad un nuovo disegno di futuro ha dato un senso alla loro vita. Concludendo, questo per me è il miglior esempio di quello che l’uomo può fare. Questa si chiama diplomazia culturale. Io sono fermamente convinto della sua utilità e del fine ultimo a fianco alle forze armate e alle istituzioni. Conoscere l’altro, comprendere la cultura e condividere, insieme, nuove prospettive di vita. Questa è la missione che, a mio avviso, tutte le persone coinvolte negli scenari geopolitici globali devono tenere a mente e noi, come italiani, dobbiamo essere orgogliosi e fieri di quello che la nostra diplomazia, le nostre forze armate e il nostro personale di intelligence fanno nel mondo. L’esempio sotto gli occhi di tutti sono i nostri Carabinieri.