Recentemente la Corte Suprema degli Stati Uniti ha sovvertito la storica sentenza Roe vs Wade che garantiva alle donne statunitensi l’accesso all’aborto. E sembra che questo sia solo l’inizio di uno spaventoso percorso mondiale volto a sopprimere un importantissimo diritto.
In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza è regolata dalla legge 194/78, che depenalizzò la contraccezione e l’aborto, punito in base al Codice Rocco del 1930 in quanto “delitto contro l’integrità della stirpe”.
Il divieto prevedeva anche la reclusione per la donna e per chi l’avesse aiutata nel suo intento.
Uno scenario molto lontano dalla nostra realtà, verrebbe da dire quasi impensabile, ma il recente caso dell’annullamento da parte della Corte suprema degli Stati Uniti della sentenza Roe vs. Wade e la conseguente abolizione del diritto costituzionale di interrompere la gravidanza hanno mostrato come il rischio di perdere i diritti acquisiti sia reale e concreto, anche là dove non ce lo si aspetta.
Il problema ormai ha assunto una portata mondiale, basti pensare alla nuova stretta di Viktor Orban in Ungheria, la quale prevede che le donne debbano ascoltare il battito del feto prima di interrompere la gravidanza.
Oppure, per comprendere meglio, possiamo semplicemente guardare alla situazione della Polonia che, ad oggi, continua ad essere uno dei paesi europei con le norme più rigide in materia.
Nel 2020 la Corte Costituzionale del Paese ha fortemente limitato il diritto all’aborto, dichiarando incostituzionale l’interruzione della gravidanza per anomalia fetale.
Da allora, l’aborto in Polonia è legale solo nei casi in cui la vita e la salute della madre sianoin pericolo e nei casi di gravidanze derivanti da stupro.
In Italia l’interruzione volontaria della gravidanza resta ancora un diritto ma l’accesso ad esso può essere definito un vero e proprio percorso ad ostacoli pieno di criticità.
Prima fra tutte, vi è la questione dell’obiezione di coscienza.
Un dato fra tanti: nel nostro Paese più di 70 ospedali contano oltre il 70 per cento di obiettori di coscienza.
È per questo che anche nel nostro Paese è importante continuare a difendere il diritto all’aborto.
La tutela delle donne all’autodeterminazione viene continuamente erosa dalle percentuali altissime di obiettori di coscienza e da numerose giunte regionali, come quelle di Marche e Abruzzo, che sfruttano le zone grigie della legge per impedire nei fatti l’accesso all’aborto rifiutandosi, ad esempio, di seguire le nuove linee di indirizzo ministeriali sull’aborto farmacologico.
Occorre lottare ricordando che tutti quegli ostacoli che riducono o impediscono l’accesso all’aborto non fermano gli aborti ma fermano gli aborti sicuri, portando a conseguenze tragiche.