Il 6 giugno scorso è uscito nelle sale “A mano disarmata”, un film che racconta il dramma della vicenda di Federica Angeli, giornalista minacciata e aggredita più volte dalla criminalità organizzata di Ostia, per aver condotto un’inchiesta sui loro abusi. La pellicola, diretta da Claudio Bonivento, è tratta dal romanzo della stessa, intitolato “A mano disarmata – cronaca di millesettecento giorni sotto scorta”, pubblicato nel maggio del 2018.
Il compito di impersonare la Angeli è stato affidato a Claudia Gerini, già interprete delle vicissitudini di cronaca nera romana in Suburra – La serie.
La storia è ricostruita con coraggio e umanità: le riprese iniziano con un flashback nel 2013, anno in cui Federica Angeli cominciò l’inchiesta sui clan di Ostia e terminano con il maxi-processo per mafia che si è tenuto il 6 giugno dello scorso anno nell’aula bunker di Rebibbia, nel quale le testimonianze di Angeli e di tutti coloro che sono stati convinti da lei a raccontare hanno condotto al banco degli imputati 24 componenti fra affiliati e membri dei clan. È interessante il taglio emotivo che il regista ha restituito tramite la pellicola, particolarmente incentrato sul clima di omertà e terrore al quale i cittadini sono assoggettati. Nel corso del film si ascoltano le parole di commercianti, balneari, uomini e donne che tentano di vivere come hanno sempre fatto, ma la realtà banditesca ostacola la loro serenità. Ciononostante, molti personaggi non risparmiano parole d’incoraggiamento verso la giornalista e gesti d’affetto verso i suoi bambini, sospettanti ma ignari del pericolo. Sull’esempio di Benigni ne “La vita è bella”, i figli vengono lentamente resi partecipi della questione come se essa fosse un gioco, al punto che l’assegnazione della scorta, per esempio, viene raccontata come un premio perché la mamma ha svolto un ottimo lavoro.
La costruzione cinematografica è essenziale, giacché i fatti sono noti al pubblico, il contesto è ridotto alla realtà di Ostia e lo zoom è focalizzato sulla vita della giornalista, ripresa tanto negli ambienti familiari quanto in quelli esterni.
Al fianco di Claudia Gerini c’è Francesco Venditti, interprete del marito di Federica, coinvolto indirettamente nella vicenda. Malgrado lo scetticismo iniziale verso la volontà della moglie di andare fino in fondo all’inchiesta, non si perde d’animo e resta fedele alla madre dei suoi figli. Il suo ruolo è per lo più di supporto: col passare delle scene, anch’egli si lascia coinvolgere nell’avvenimento ed è consapevole che senza di lui lei si sentirebbe smarrita. La coppia è spesso ripresa nell’ambiente casalingo, unico luogo sicuro; in casa c’è la tranquillità (non senza ansie riflessive, ndr), fuori il pericolo. Se è vero che pochi sono i personaggi nel film, è altrettanto vero che la loro esiguità non è percepita come un problema, poiché la Gerini è chiamata a reggere da sola l’intera pellicola, impegnata nel compito di restituire a tutto tondo le sensazioni della protagonista. Tutto il comparto delle altre figure presenti, difatti, vive di riflesso delle sue azioni: il contesto è assai emotivo e mostra come i piccoli gesti, in un momento di simile asperità, possano fare la differenza.
Infine, i criminali sono caratterizzati da un aspetto trasandato, un linguaggio scurrile e dei comportamenti delinquenziali, tali da mostrare sin dall’inizio gli opposti schieramenti della giustizia e dell’illegalità. Inoltre, è chiara la gerarchia all’interno del clan, che rispecchia il reale funzionamento di un’associazione a stampo mafioso, cioè una struttura piramidale, nella quale i capi ordinano e i braccianti agiscono. Dal 2013 Federica Angeli vive sotto scorta e ancora oggi il suo lavoro continua senza sosta. Lei rappresenta il lato buono dell’Italia, quella parte di popolazione che non volta la faccia a destra o a sinistra e non china il capo. Il giornalismo è inchiesta e non deve temere ritorsioni: la denuncia salva molte vite, l’indifferenza continua a causare morti. Era così in passato e sarà così in futuro. Il cinema, come ogni forma d’arte, ha il compito di salvare il salvabile ed educare affinché ciò che è andato perso non si perda di nuovo. Se un biglietto per entrare in sala può convincere anche solo un uomo o una donna a ribellarsi e lottare contro il crimine, allora la mano disarmata del cinema ha ancora tempo di armarsi.