Andreotti, il primo rivoluzionario dell’autoironia

Non so se parlare ancora di Giulio Andreotti, a otto anni di distanza dalla sua morte, sia di moda. Per dirla come farebbe la generazione dopo la mia, quella che forse ignora quasi del tutto il protagonista di queste righe. 

Era il 6 Maggio del 2013, ero iscritto all’Università e quel giorno moriva Giulio Andreotti. Lo avevo conosciuto, mai di persona, soprattutto dalla pellicola di Sorrentino interpreta da un eccellente Servillo. Era il 2008 e io di anni ne avevo 15. Da lì è stato solo un crescendo: documentari, libri, curiosità e gossip. Si disse anche che il divo Giulio non gradì quel film. Qui le leggende e i commenti si sprecano. Dedicare un film dai tratti  biografici ad un personaggio ancora in vita, era comunque una novità. Personalmente lo rivedo almeno tre volte l’anno. Almeno. Racconta di un personaggio controverso in un contesto quasi irrealistico di Prima Repubblica. Racconta del tormento di un uomo combattuto tra verità e responsabilità, potere ed oscurità. 

La mia lettura personale ne da una visione della fragilità del potere, tra sofferenza e autoironia. Alcuni ne vedono la tracotanza, io immagino solo la fragilità. Quella linea sottile che tiene in equilibro poteri dicotomici ma funzionali alla stabilità di uno Repubblica che, di li a poco, sarebbe arrivata al giro di boa di tangentopoli. 

Come del resto immagino Andreotti. Un rivoluzionario del potere con una cultura profonda e una consapevole autoironia. Oggi rivalutato, per alcuni rimpianto o ancora dannato, sicuramente non ignorato. Perché il silenzio di quel potere, obbligatoriamente intriso di responsabilità, fa ancora rumore nel nostro XXI secolo. E continuerà a farlo, perché sarà nei libri di storia. Come vorrebbero esserci quelli che per anni lo hanno stereotipato negativamente ed oggi, in parlamento, si ritrovano governo del Paese con i suoi eredi. Con quelli che, per dirla in termini calcistici, nella vecchia DC portavano l’acqua. Non solo perché erano giovani di fronte a quello che fu il sottosegretario degasperiano più giovane della storia repubblicana, ma semplicemente perché non all’altezza. 

E qualcuno, più di uno, comincia a capirlo. Andreotti fu il primo vero rivoluzionario che sapeva prendere in giro,intelligentemente con il suo flebile sorriso, una persona in particolare. Quella che vedeva allo specchio tutte le mattine. Ed è quello che manca oggi, nell’epoca dell’io politico della presunta democrazia diretta. 

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